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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

E tra gli immigrati cinesi la parità c’è già - «Si dice che le donne cinesi lavorino 15 ore al giorno, ma Cecilia ne lavora 24»

E tra gli immigrati cinesi la parità c’è già - «Si dice che le donne cinesi lavorino 15 ore al giorno, ma Cecilia ne lavora 24». Bastano poche parole di don Domenico Liu, cappellano della comunità cinese di via Paolo Sarpi, a Milano, a tracciare il ritratto di Jia Yaqin, o «Cecilia» come lei stessa tiene a precisare. Cecilia ha lasciato Pechino nel 1994. «Milano è la seconda città dove ho vissuto più a lungo», dice pronta a raccontare la sua storia. «Corro tutto il giorno da una parte all’altra di Milano, amo il mio lavoro». Cecilia è esile come la maggior parte delle sue connazionali, parlando con loro si scopre che rappresentano la parte più dinamica e vogliosa di integrazione della comunità cinese a Milano. Del resto circa la metà delle 36 mila ditte individuali cinesi in Italia è guidata da donne. «Numeri importanti, soprattutto in rapporto al tessuto produttivo milanese, dove le circa 1.600 imprenditrici cinesi costituiscono un terzo delle donne straniere titolari d’impresa», spiega Marco Accornero, presidente di Asiim, l’associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria immigrata. Le titolari d’impresa cinesi sono inoltre molto più giovani delle loro colleghe italiane. «Tra le imprenditrici italiane più di una su tre è over 50, il 90% di quelle cinesi ha meno di 50 anni e, tra queste, circa una su cinque è addirittura under 30». Altro dato degno di nota è il fatto che ai settori dell’imprenditoria tradizionale cinese in Italia - commercio e la ristorazione - si stanno affiancando attività di servizi. È donna anche la console generale cinese a Milano, Liang Hui, che l’8 marzo ha partecipato a una cena con numerose imprenditrici diventate punto di riferimento per l’intera comunità cinese in Italia, come “Alba” e “Giulia”, presidenti di due associazioni di donne cinesi che contano oltre cento iscritte in Lombardia. Non stupisce che alla domanda «perché un’associazione di sole donne?» risponda semplicemente «perché anche gli uomini hanno la loro». A ciascuno la sua parte. Se nella Cina tradizionale obbedienza e virtù del gentil sesso erano infatti indispensabili per mantenere l’armonia dell’Universo, 50 anni fa Mao Zedong definì le donne «l’altra metà del cielo» aprendo la strada alle associazioni femminili che oggi in Cina contano milioni di iscritte. «Nella Cina moderna le donne sono capaci di risalire la scala sociale a ritmi vertiginosi con determinazione spesso maggiore di quella maschile», spiega Francesco Boggio Ferraris, docente di cinese mandarino alla Scuola di formazione della Fondazione Italia Cina. Basti pensare alla direttrice del colosso tecnologico Huawei, Sun Yafang, conosciuta come «madame market killer» per la capacità di sconfiggere i competitor e comparsa nella lista Forbes delle donne più potenti del mondo insieme a un consistente numero di connazionali. «È vero che in un Paese immenso come la Cina milioni di donne non sono ancora libere di decidere del proprio futuro o scegliere un marito, ma la loro condizione è in costante miglioramento», dice Boggio Ferraris. Ci sono conferme: secondo l’ultimo Grant Thornton International Business Report, nelle aziende cinesi il 34 per cento della dirigenza è rappresentato da donne».