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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

Quando l’amore è troppo intelligente - L’anno in cui si incon­­trarono, il 1928, Victoria Ocampo era una bella e ricca argentina non an­cora quarantenne, sposata, ma di fatto separata e con un unico grande amore alle spalle, e Pierre Drieu La Rochelle un bril­lan­te trentacinquenne senza lavo­ro fisso, al secondo e già fallito ma­trimonio, con molte avventure sen­timentali dietro di lui

Quando l’amore è troppo intelligente - L’anno in cui si incon­­trarono, il 1928, Victoria Ocampo era una bella e ricca argentina non an­cora quarantenne, sposata, ma di fatto separata e con un unico grande amore alle spalle, e Pierre Drieu La Rochelle un bril­lan­te trentacinquenne senza lavo­ro fisso, al secondo e già fallito ma­trimonio, con molte avventure sen­timentali dietro di lui. Che cosa spingesse l’una nelle braccia del­l’altro e viceversa non è facile dire: negli scrittori Victoria cercava gli uomini, anche se pur sempre co­me intesa di anime, più che di cor­pi; quanto a Drieu, la sua attrazio­ne era figlia della prevenzione, il fa­scino esercitato da una donna in­telligente, ovvero ai suoi occhi un controsenso, se non un elemento contro natura. Come che sia, furono amanti, re­starono amici, si scrissero, viaggia­rono insieme, polemizzarono an­che duramente, ma senza che que­sto incidesse sulla stima e l’affetto reciproci. La Ocampo fu l’unica donna alla quale La Rochelle la­sciò scritte, in busta chiusa, le ragio­ni del suo suicidio, e nel lungo tem­p­o che lei gli sopravvisse quel ricor­do sentimentale e intellettuale non venne mai meno, il restare co­munque fedele a chi era stato scon­fitto dalla politica e dalla storia. Adesso la casa editrice Archinto pubblica, a cura di Julien Hervier, Amarti non è stato un errore ( pagg. 218, euro 17, traduzione di Enrico Badellino), la corrispondenza fra loro intercorsa dal ’29 al ’44, e da essa viene una luce particolare a il­luminare le due figure e un’epoca, quella fra le due guerre, così dram­matica. Ma chi era veramente Victoria Ocampo,al dilà dell’eco di un no­me che oggi, escluso qualche spe­cialista, evoca pallide frequenta­zioni letterarie fra le due sponde dell’Oceano Atlantico, il nome di una rivista, Sur , e di un collaborato­re d’eccezione, Borges? La più grande di sei figli, Victoria apparteneva a una delle famiglie più facoltose e antiche dell’aristo­crazia bairense. Fra i suoi antenati c’erano un paggio di Isabella di Ca­­stiglia, un governatore del Perù, un candidato alla presidenza della re­pubblica argentina. Fra i suoi pa­renti lo scrittore José Fernandez, l’autore del Martin Fierro , il poe­ma epico di una nazione. La sua ca­sa modernista sul Mar del Plata era stata costruita sul modello di Gro­pius, quella di Buenos Aires secon­d­o i dettami dell’architetto Alberto Presbich, allievo di Le Corbusier. Ricchezze immense, dunque, al servizio di un’educazione squisita­mente europea, l’idea di un’Argen­tina appendice e insieme avampo­sto del Vecchio Continente che Drieu, ossessionato dalla decaden­za di quest’ultimo, non tarderà a rimproverargli: «Mi avevi detto che l’Argentina era piena di vita,di forza,eccetera.No,io non vi ho tro­vato che la tua vita di donna e un certo fermento in profondità che c’è anche a Parigi nei suo rigagnoli. C’è forza nel popolo argentino,co­me in ogni popolo, ma questa for­za è imprigionata dallo schema for­mato da La Nación , dalla “Socie­tà”, dai circoli intellettuali e da Sur e che non serve una causa organi­ca, ma quella della letteratura in ge­nerale ». Per una giovane bene di quell’Ar­gentina primo ’ 900, dove la donna sposata ha ancora lo status giuridi­co di una mino­renne e deve sotto­stare all’autorità del marito, la stra­da è apparentemente obbligata: un matrimonio all’al­tezza del patrimonio, una vita di agi, lussi, viaggi, la cura e l’edu­cazione dei figli. Ma se la Ocampo si sposa a ventidue anni, nel 1912, con Luis Bernar­do de Estrada che co­nosce da quando è adolescente, già un anno dopo l’unione non funziona più, lui troppo geloso e bruta­le, «il mostro triste» che considera le don­ne puledre da doma­re e da cavalcare, lei che ha seguito alla Sor­bona corsi su Dante e Nietzsche, che è anda­ta al Collège de Fran­ce ad ascoltare le lezio­ni di Bergson... Vivranno sotto lo stesso tetto, ma non nello stesso let­to per circa un decennio, poi, nel ’26, la legislazione argentina con­sente alle donne sposate l’eserci­zio di una professione e il poter di­sporre del proprio denaro, e Victo­ria, che da quattro anni è comun­que andata a vivere da sola, ha intanto comin­ciato a farsi un nome letterario e non si è ne­gata lo scandalo, più o meno soffocato, di una relazione con Julián Martínez, un diploma­tico ricco e playboy che vanta fra le sue conqui­ste Coco Chanel. È an­cora legata a lui, anche se l’amore si è ormai spento ed è rimasta del­la tenerezza, quando nell’estate del ’28 in­contra Drieu a Parigi. Va detto che Victoria ha una passione per gli uomini d’ingegno e di fama, il che può pre­starsi all’equivoco di una sorta di ricca colle­zionista di celebrità. È un errore che farà il filosofo tedesco Her­mann von Keyserling, è un errore che farà il filosofo spagnolo Oryte­ga y Gasset: entrambi ne scambia­no l’entusiasmo, la passionalità, l’amore verso ciò che dicono, scri­vono e pensano, per qualcosa di fi­sico che lei invece non prova. È un’epoca an­cora in gran parte miso­gina, in cui l’uomo è abituato a essere am­mirato e si aspetta che la donna si conceda senza troppe storie. Di qui incomprensioni, scambi di accuse, rottu­re di rapporti. Con Drieu, però, scatta qualcosa di di­verso. Certo, è misogi­no anche lui, e lo è al massimo grado, ma in modo diverso dalla brutalità e in fondo dal­la volgarità di quei due illustri pensatori: lo è con tenerezza e con ri­spetto, quasi scusando­si. È un animo delicato che capisce subito come dietro la maschera della donna indipen­dent­e e a proprio agio in ogni situa­zione ci sia l’insicurezza e l’infelici­tà di chi è costretta a recitare un ruo­lo, vorrebbe lasciarsi andare, ma l’educazione, la società glielo im­pediscono. Victoria ha tutto ciò che a Drieu piace, ma anche tutto ciò che Drieu detesta.Una ca­sa­nell’ VIII arrondisse­ment , abiti di Chanel, quadri di Picasso, Lé­ger, Mirò alle pareti, soggiorni al Savoy di Londra o al Norman­dy di Deauville, e in­somma quell’idea del lusso, delle cose belle, della pigrizia e del­l’ozio che egli coltiva in modo quasi mania­cale proprio perché non è alla portata dei suoi mezzi. L’idea di essere mantenuto da «mecenati femmini­li » da un lato ne solleti­ca l’orgoglio maschi­le, e dall’altro gli ripu­gna perché proietta su di sé l’om­bra di un padre vanesio, fallito e se­duttore, incapace di amare e fonte di sofferenza per sua madre. Anche come tipo femminile Victoria è per Drieu il concentrato di sentimenti contrastanti. Fisica­mente è alta, ben fatta, matura, e questo si accorda con chi non si è mai innamorato di fanciulle in fio­re e non si è mai visto nel ruolo del pigmalione-corruttore di anime giovani e caste. E però stride con la sua preferenza verso le donne anti­­intellettuali, dirette, le uniche che egli possa sopportare perché non lo obbligano a pensare, perché non invadono la sua intimità. Victoria è «tutto quello che nell’al­tro sesso lui vuole ignorare», quel­l­’elemento di cultura che può scuo­tere il suo senso di superiorità, che può costringerlo a discutere, a rive­dere una posizione, a interrogarsi sulla bontà di una scelta. È insom­ma il fascino che nasce da un peri­colo, laddove la passione per le donne semplici, se non per le pro­stitute che nemmeno fanno do­mande, è sotto il segno della sicu­rezza. Il primo è alla lunga stressan­te, la seconda alla lunga è noiosa. E Victoria? Che cosa trova in Drieu Victoria? È un intellettuale, ma non di quelli libreschi. Ha una modernità che ne fa il termometro culturale di quella Francia fra le due guerre, in grado di cogliere la novità delle avanguardie, ma an­che spesso la loro sterilità. È aitan­te, e il suo narcisismo masochista non riesce a nascondere il corag­gio fisico e una tensione morale in­capace di compromessi. Rispetto alla media dei suoi confratelli, ha più buon gusto, pulizia, charme , e ciò colpisce chi, come lei, sotto que­sto aspetto ha poco da imparare e molto da insegnare... Infine, nel gioco psicologico Drieu è uno che non si nega e questo rende lo scam­bio più interessante per una men­te femminile... Come molte don­ne, Victoria vorrebbe salvarlo dal suo lato nero, pessimista, malinco­nico, come molte donne pensa e spera di dargli quella fiducia nei propri mezzi in grado di condurlo a grandi cose. La distanza, le differenze di opi­nioni politiche, la stanchezza che si insinua in ogni legame sentimen­tale, allenteranno nel tempo i rap­porti, senza mai però reciderli. Ne­gli anni ’30, un ciclo di conferenze in Argentina organizzato dalla Ocampo sarà per Drieu l’occasio­ne per mettere a fuoco ideologie e scelte di campo: «È stato lì che ho capito che la vita del mondo occi­dentale stava uscendo dal suo tor­pore e che si apprestava ad essere lacerata dal dilemma fascismo-co­munismo. Da quel momento, ho camminato rapidamente verso la caduta in un destino politico». La summa di tutto questo sarà, nel 1943, L’uomo a cavallo , storia di un dittatore boliviano che sogna l’unità del continente latino-ame­ricano e la riconciliazione delle classi sociali. Camilla, l’eroina del romanzo, è in realtà Victoria Ocampo, e naturalmente il loro è un amore destinato al fallimento. «Sarebbe ora che tu capissi che le donne sono anche esseri umani» gli aveva rimproverato un giorno... Perché Ocampo sapeva che «nella sua maniera di amare la Francia ri­conosco il suo modo di amare le donne che gli ho spesso rimprove­rato e che era poi così irritante, ma non meschino. Se Drieu è per una politica che non ci piace, non lo è per ragioni inconfessabili, basse o interessate. Un giorno gli dissi: Tu sei Pietro, e su questa pietra non co­struirò la mia chiesa. Ma la mia te­nerezza gli resta fedele, incurabil­mente fedele».