Marco Ferrando, Il Sole 24 Ore 9/3/2011, 9 marzo 2011
FUGA IN TRE SUL TGV SOGNANDO LA FRANCIA
Quando il capotreno, nel suo francese un po’ zoppicante, informa i passeggeri del Tgv che «le prochain arrêt est Bardonecchia», il volto è attraversato da un brivido. Piumino nero e scarpe Nike bianche, il ragazzo che dice di avere 25 anni e di chiamarsi Karim sa bene che dopo Bardonecchia, c’è la Francia e poco più in là la sua meta, Saint-Étienne. Dove, confida, c’è un cugino di suo padre che l’aspetta.
Nel silenzio ovattato del Tgv partito lunedì mattina alle 6.40 da Milano, tra sciatori e uomini d’affari, Karim non ha voglia di parlare. Fuori dallo scompartimento, tra la catasta di valigie e la porta del fasciatoio, inizia però a raccontare. Il suo viaggio è iniziato più di dieci giorni fa dalle coste della Tunisia. Prima Lampedusa, poi un generico «viaggio in Sicilia», in un centro «dove si mangiava bene». Karim ci resta qualche giorno, poi con un paio di amici sale su un treno verso la Francia. I tre arrivano a Roma, poi Pisa e quindi Genova dove incontrano «un tunisino che abita in Italia – racconta -. Ci ha detto di non passare per Ventimiglia, dove c’era un sacco di polizia. Ci ha consigliato di arrivare a Torino e salire su un Tgv». Pessimo consiglio. Forse un tranello. A Bardonecchia, prima del traforo del Frejus, salgono otto agenti francesi. La pattuglia setaccia le dieci carrozze in venti minuti, giusto il tempo di sbucare in Francia: due poliziotte graziose chiedono i documenti, sei colleghi con manganello alla cintola le seguono passo dopo passo. Alla fine trovano cinque irregolari che tentano di sgusciare in un’altra carrozza, poi quando si vedono braccati mostrano un foglio, gli agenti sono inflessibili, c’è poco da questionare. Sono irregolari, e senza documenti in Francia non si entra: hanno tutti 20 anni, nessuno di loro ha una borsa, una valigia che possa camuffare il loro essere viaggiatori non per scelta ma per necessità. Per tutti il viaggio finisce a Modane, dove vengono registrati e riportati a Bardonecchia. Da dove proveranno a tornare in Francia, magari con un passaggio in auto dal Frejus o al valico del Monginevro. Perché è qui che per decine di tunisini sbarcati a Lampedusa si conclude la traversata della penisola. Dalle acque del Canale di Sicilia alla neve dell’alta Valle di Susa, con in tasca la richiesta di asilo, sufficiente a girare per l’Italia ma non ad entrare in Francia, dove la maggior parte di loro è diretta. I francesi ormai lo sanno, e li aspettano: tra Ventimiglia e Mentone, solo a febbraio ne hanno fermati 460, e a Nizza nei giorni scorsi la polizia transalpina ha lanciato l’allarme: «Siamo sommersi». Più a nord, in Valsusa, passare è più difficile ma i numeri stanno crescendo in fretta: un centinaio in un mese. Il colonnello Jean-Francois Jolivet, dirigente del centro interforze Italia-Francia, non dà numeri ma non è un mistero che nelle ultime due settimane i fermati siano triplicati rispetto anche solo a gennaio. Al di là del traforo, a Bardonecchia, gli uomini in servizio sono 40, e a differenza dei colleghi francesi per loro ci sono anche i servizi di pattuglia, le denunce da raccogliere, le piste da sci da presidiare. È qui, davanti al commissariato, che Karim e altri quattro tunisini sono identificati. Lo stesso iter seguito qualche giorno prima a Lampedusa. Chi non ha in tasca un pezzo di carta è accompagnato a Torino, in questura. Per quelli con una richiesta di asilo, una stretta di mano e qualche raccomandazione. Forse al prossimo tentativo saranno più accorti.