Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 05 Sabato calendario

Riforme o repressione, i Paesi arabi in fiamme - Mentre in Libia la situazione si aggrava di ora in ora e i combattimenti si estendono a molte zone, dove il regime, forte anche di accordi stretti con alcune tribù, cerca di riconquistare il terreno perduto, in tutto il mondo arabo continuano le manifestazioni

Riforme o repressione, i Paesi arabi in fiamme - Mentre in Libia la situazione si aggrava di ora in ora e i combattimenti si estendono a molte zone, dove il regime, forte anche di accordi stretti con alcune tribù, cerca di riconquistare il terreno perduto, in tutto il mondo arabo continuano le manifestazioni. Cambiano le nazioni, ma non le richieste: maggior democrazia, più libertà, più lavoro, meno corruzione. Dal Marocco allo Yemen le folle arabe si agitano e, spesso, ottengono in cambio solo il piombo della polizia. Però in alcuni Paesi governanti più illuminati o semplicemente più intelligenti stanno concedendo, almeno a parole, qualcosa ai loro popoli. E’ il caso del Marocco, dove un portavoce del re Mohammed VI ha illustrato un progetto basato su riforme politiche, economiche e sociali. Annunciato anche lo stanziamento di due miliardi di dollari per sussidi ai più poveri e un progetto per assumere nel settore pubblico quattromila giovani laureati. Non abbastanza però per molti, come il professor Mohammed Salmi del movimento islamico Giustizia e Carità, che hanno chiesto la fine delle torture, la liberazione dei prigionieri politici e una monarchia costituzionale. In Algeria la polizia pare esser riuscita a fermare le manifestazioni, ma la situazione resta tesa. Ieri è morto un giovane che si era dato fuoco per protesta. Dove invece le cose si stanno muovendo positivamente è nella Tunisia, invasa dai profughi. Il nuovo premier Beji Caid Sebsi ha annunciato che domani sarà presentato il nuovo governo provvisorio (e ha chiesto di processare Ben Alì per alto tradimento). Intanto il presidente ha annunciato che le elezioni per l’Assemblea Costituente si terranno il 24 luglio. Giusto anche l’appello al popolo. «Non aspettatevi miglioramenti improvvisi, soluzioni miracolistiche, per stabilire la democrazia ci vuole tempo e lo stesso vale anche per l’economia». In Egitto, intanto, avvengono fatti significativi. Il nuovo capo del governo Essam Sharaf è andato in piazza Tahrir, teatro della rivoluzione e ha parlato a una grande folla: «La mia legittimità deriva da voi», ha detto. La piazza ha apprezzato, ma ha presentato altre richieste: libertà per i numerosi prigionieri politici, processo ai rappresentanti del regime, ristrutturazione del Ministero dell’Interno. Per il 19 marzo è programmato il Referendum costituzionale. E d’ora in poi lo stato d’emergenza, rimasto in vigore per 30 anni, potrà durare solo 6 mesi e il nuovo presidente starà in carica solo 4 anni e il suo mandato sarà rinnovabile solo una volta. Le cose si complicano invece in Iraq, dove anche ieri sono avvenute manifestazioni di cittadini che chiedono la fine della dilagante corruzione, salari più alti e più legalità. Dopo gli incidenti di venerdì, quando la polizia ha assassinato ben 14 manifestanti, ieri le manifestazioni si sono svolte in modo più pacifico, anche se lo schieramento di polizia e reparti speciali, soprattutto a Bagdad, era colossale, con blocchi concentrici del traffico e varie cinture di sicurezza. E qualcosa si muove anche nella medievale e fondamentalista Arabia Saudita, re Abdallah, tornato dalla Spagna dove praticamente vive, ha promesso 36 miliardi di dollari a favore dei meno abbienti e starebbe addirittura pensando di autorizzare il voto delle donne (solo passivo, peraltro). Questo, però, non pare sufficiente a molti cittadini. Cento intellettuali hanno firmato una petizione per chiedere la divisione dei poteri, una monarchia costituzionale e maggiore libertà. Tutte cose assolutamente inaudite per la monarchia saudita. Un appello rilanciato dai blog, da Facebook, da Twitter. Le cose si stanno invece mettendo sempre peggio nello Yemen. Il presidente Saleh, imitando Gheddafi, ha detto no alla richiesta di un imponente consesso di religiosi e capitribù che gli chiedevano di dimettersi entro il 2011 e ha ribadito l’uso della forza. Ieri nella regione settentrionale dell’Amran 4 manifestanti sciiti sono stati uccisi dalla polizia.