Cesare Maffi, ItaliaOggi 9/3/2011, 9 marzo 2011
QUEI PARTITI CHE FINGONO DI VIVERE
Probabilmente il sentimento provato da telespettatori e lettori della stampa qualche giorno addietro, quando appresero che Silvio Berlusconi aveva tenuto un breve discorso al congresso nazionale del Pri, era stato di stupore. Stupore per la scoperta dell’esistenza in vita del partito repubblicano.
Analogamente, quando alcune interviste a Renato Altissimo (compresa una sul più diffuso quotidiano d’Italia) hanno reso noto il suo ritorno alla politica con l’adesione al Pli, l’incredulità è stata dominante. Non tanto per il ritorno di Altissimo, bensì piuttosto per la notizia che ancora sopravvivesse il partito liberale.
Se volessimo proseguire nell’elencare il permanere di altri residui del pentapartito, potremmo citare che ancora figura esistente un Psdi, con tanto di sole nascente e di scritta «socialdemocrazia», mentre di Psi ve ne sono almeno un paio: un Nuovo Psi e un Psi.
I due resti dei partiti laici, che conobbero decenni di esistenza dall’epoca regia alla prima repubblica per essere travolti dalla cosiddetta seconda repubblica, sono oggi piccoli raggruppamenti più che autentiche formazioni politiche.
Il Pri da molti anni non è in grado di presentarsi per conto proprio alle politiche, mentre alle europee, dopo tre turni in cui aveva ottenuto intorno ai 200mila voti, l’ultima volta non fu in grado di depositare liste autonome. Anche alle regionali sono scarse le presenze di liste repubblicane, in genere abbinate ad altri.
Non è un caso che il partito sia da tempo ridotto a chiedere seggi alla maggior forza politica con la quale si allea. Il Pdl nel 2008 concesse due posti di deputato ai repubblicani, uno dei quali finì a Giorgio La Malfa, ora espulso e veleggiante verso il terzo polo. I dissidenti repubblicani, spostàti verso sinistra con Luciana Sbarbati (a sua volta omaggiata di un posto fra i senatori democratici, ma transitata poi nel gruppo facente capo all’Udc), sono rientrati nel Pri; ma mentre la Sbarbati rimane all’opposizione del governo, alla Camera il segretario repubblicano, Francesco Nucara, continua ad appoggiarlo, fra l’altro cercando di spuntare qualche solida candidatura calabrese alle imminenti amministrative (ma avendo rifiutato un posto di viceministro, stando a quanto ha ieri dichiarato al Riformista).
Il Pli, invece, si è presentato, fuori dei due poli, alle ultime politiche, conseguendo 100mila voti. Per alcuni mesi ha avuto un deputato, eletto nel Pdl, Paolo Guzzanti, il quale però se n’è andato rumorosamente non molte settimane addietro.
Qualche giorno fa, quasi per compenso, è giunto un senato-re, Enrico Musso, uscito dal Pdl e iscritto ora (pure lui) al gruppo senatoriale capeggiato dall’Udc. Nel suo intervento alla seduta di consiglio nazionale del Pli che ha festeggiato l’arrivo suo (con altri ex parlamentari dell’antico Pli, quali Altissimo, Alfredo Biondi e Attilio Bastianini), Musso ha affermato una profonda verità: non servono eletti, servono elettori.
È un esatto monito sia a repubblicani sia a liberali: hanno, a stento, qualche eletto, ma in liste di altri; mentre gli elettori scarseggiano. Poche decine di migliaia di voti in tutt’Italia, quale apparirebbe la consistenza odierna tanto del Pri quanto del Pli, non consentono di fare molti passi avanti. Negli enti locali, poi, è quasi ovunque silenzio assoluto.
I mezzi di comunicazione ignorano il comportamento di questi partiti, salvo in casi peculiari, come la presenza di Silvio Berlusconi oppure l’adesione (ovvero la fuga) di qualche politico. L’attenzione della stampa, però, si spegne subito.
Partiti simili non possono illudersi di vivere come etichette dietro le quali tenere uniti alcuni sparsi resti delle antiche formazioni. In queste condizioni, in luogo di vivere, sopravvivono, e a stento.