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 2011  marzo 09 Mercoledì calendario

INDIA, SOPRAVVIVERE AL PARTO

Con una decisione inusitata, i giudici dell’Alta corte di New Delhi hanno ordinato alle autorità pubbliche di risarcire due donne i cui diritti fondamentali erano stati violati. Sentenze notevoli, perché per la prima volta i «diritti riproduttivi» sono riconosciuti in un’aula di tribunale. Le donne in questione infgatti sono morte entrambe in seguito al parto, ed è proprio questo il punto. Shanti Devi è morta in gennaio a New Delhi, durante il parto. Lavoratrice migrante, Devi veniva dal Bihar e aveva soggiornato nel Haryana, due stati nell’India settentrionale; rientrava nella definizione burocratica di persona «sotto la soglia di povertà», che dovrebbe comportare l’accesso a cibo a prezzi controllati, assistenza medica e altro. Così però non è stato, in Haryana non aveva ottenuto cure e quando ha partorito non mangiava da giorni. Non è migliore la storia di Laxmi Mandal, giovane homeless che ha partorito per strada nel centro della capitale indiana: è morta quattro giorni dopo di setticemia, senza mai aver visto alcuna cura.
Le storie di Shanti e Laxmi sono ahimè comuni: l’India continua ad avere il tasso di mortalità materna più alto al mondo: oltre 78mila donne ogni anno muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto - e sono morti in larga parte evitabili, fanno notare le operatrici legali del «reproductive rights team» del Human Rights Law Network (Hrln), organizzazione di New Delhi. Le vicende di Shanti Devi e Laxman Mandal però sono particolari per il fatto che i loro familiari hanno deciso di chiedere conto, sostenute dagli avvocati del Hrln. Così sono nati i casi legali: per Devi nei confronti dello stato di Haryana, per Laxmi Mandal nei confronti dell’ospedale di Delhi che le ha rifiutato il ricovero. Le petizioni si basano sull’articolo della costituzione che sancisce il diritto alla vita come diritto umano fondamentale e inalienabile. Questo, argomentano gli avvocati del Hrln, si fonda su due pilastri: il diritto alla salute, quindi a ricevere adeguate cure mediche, e il diritto al cibo.
Ora, la sentenza dell’Alta Corte di New Delhi riconosce che è stato violato il diritto alla vita di queste donne, e i loro «diritti riproduttivi» - diritti umani fondamentali e inalienabili. Ma la sentenza non si limita a ordinare risarcimenti per le due povere donne: afferma che lo stato è responsabile di garantire a tutte le cittadine l’accesso a questi diritti fondamentali, ma la morte di queste donne dimostra il fallimento dei programmi statali per la salute materna e infantile. Così i giudici ordinano allo stato di provvedere alle donne «sotto la soglia di povertà» un sussidio alcune settimane prima del previsto parto, per permettere loro un’alimentazione appropriata. E ribadisce che «a nessuna donna incinta va negato l’accesso a cure mediche, quale che sia lo status socio-economico».
E’ per questo che avvocati e attiviste del Human Rights Law Network considerano storica questa sentenza, convinti che avrà implicazioni profonde nella politica sanitaria indiana. Sanno che le vie legali sono solo uno degli strumenti di battaglia. Vogliono combattere l’idea diffusa che morire di parto sia una fatalità: perché invece è il risultato di ingiustizie sociali ed economiche, di povertà, discriminazione, analfabetismo, corruzione. Sabato scorso a Delhi il Hrln ha inaugurato una mostra fotografica che documenta il calvario di Shanti Devi (Mera Haq, sopravvivere alla gravidanza in India), e vuogliono portarla in giro per il paese. Intanto, sperano che cliniche e ospedali ci penseranno bene prima di respingere di nuovo una donna incinta.