Angela Padrone, Il Messaggero 9/3/2011, 9 marzo 2011
LE ITALIANE LAVORANO PIU’ ORE, MA DI FARE CARRIERA NON SE NE PARLA
di ANGELA PADRONE
IL PARADOSSO delle donne italiane è che sono le persone con l’orario di lavoro più lungo dell’Occidente, anche se il loro tasso di occupazione ufficiale è il più basso. Sembra un’acrobazia impossibile, ma è l’amara realtà: in un giorno medio, secondo una ricerca fatta qualche tempo fa sull’”iso-work”, una donna italiana lavora in casa e in ufficio per un totale di 480 minuti. Trattandosi di media, è un dato altissimo. Tanto è vero che gli uomini degli Stati Uniti (il paese con gli orari di lavoro più lunghi dell’Occidente) totalizzano una media di 476 minuti di lavoro al giorno, sempre sommando lavoro retribuito e lavoro non retribuito. Come è possibile che ciò avvenga in un paese come l’Italia dove il tasso di occupazione delle donne è ancora ben al di sotto del 50%?.
Il fatto è che le donne italiane dedicano al lavoro in casa, alla cura dei figli, della famiglia, degli anziani, un tempo molto superiore a quello dedicato da francesi, americane, inglesi, tedesche, scandinave, greche o spagnole. La casa delle italiane deve essere sempre la più lustra e ordinata, i bambini i più in ordine, i mariti ben accuditi e nutriti, gli anziani mai trascurati. Lo Stato non aiuta, come si sa, visto che asili nido, assistenza agli anziani, mense scolastiche e orari flessibili sono largamente insufficienti. E, ovviamente, c’è anche il lavoro in ufficio, nel quale bisogna comunque dimostrare di non essere quel fallimento che molti si aspettano.
Il lavoro retribuito però, resta quasi un lusso e i dati che l’Istat ci fornisce a cadenza regolare sono purtroppo ripetitivi: ha uno stipendio appena il 47% delle donne e, quando si scende al Sud, la percentuale crolla al 30%: solo una su tre. Abbiamo il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa. E non consolino le cifre sulla disoccupazione, perché la realtà è che tante donne il lavoro non lo cercano proprio e quindi non sono ”tecnicamente” disoccupate.
Tra le più giovani, tra i 18 e i 29 anni, quelle che non lavorano né studiano sono il 30%, tra i maschi il 22,9%. Il tasso di disoccupazione tra le giovani è del 21%, quello dei giovani maschi del 18,4. Eppure le ragazze hanno risultati migliori a scuola, e le laureate sono il 14,9% delle donne tra i 24 e i 29 anni, mentre i laureati maschi sono solo il 9,4%. Ma l’ingresso nel mercato del lavoro per le ragazze continua ad essere più difficile che per i loro coetanei. Le aziende che devono assumere un neolaureato preferiscono andare sul sicuro con un ragazzo: per scegliere una donna devono avere proprio coraggio. O lei deve essere eccezionale.
E cosa succede, poi, una volta trovato un lavoro? Qui sono note ancora più dolenti. Le donne non fanno carriera. Nemmeno nel settore dove sono più numerose, il mondo della scuola: se in cattedra l’81% sono donne, le dirigenti scolastiche sono meno del 40%. Lo stesso avviene, in peggio, in tutti gli altri settori. Nelle posizioni di responsabilità le donne sono rare. Questo vale nella sanità, nel mondo dei mass media, nelle banche: è il famigerato fenomeno del ”soffitto di vetro”, una barriera quasi invisibile, ma che non consente alle più di salire ai piani alti. Se in altri paesi quel soffitto è stato almeno un po’ incrinato, in Italia si mantiene fermamente al di sopra delle teste delle donne che lavorano, come abbiamo visto, svolgendo spesso il triplo ruolo di impiegata, baby sitter, assistente agli anziani, colf. Perfino nella pubblica amministrazione, dove le donne sono circa il 60%, le dirigenti di alto grado si aggirano intorno al 20%.
Questo spiega perchè si comincia a discutere anche da noi di ”quote rosa” nelle posizioni apicali e di quote in quell’olimpo del potere economico che sono i Cda delle grandi società. In Norvegia da cinque anni c’è una legge che ha imposto il 40% di donne nei Cda delle società pubbliche. La Francia, la Spagna, la Germania, la Gran Bretagna, stanno seguendo questa strada. Da noi c’è una legge bipartisan all’esame del Parlamento che però, se sarà mai approvata, prevede una grande gradualità nell’applicazione. Il governo in questi giorni ha imposto tempi ancora più diluiti: nessuno quindi si aspetti rivoluzioni a breve termine.
Il dato generale è che nell’elite italiana l’88% è composta da uomini. E in quel 12% di donne che ”ce la fa”, va aggiunto, una bella fetta ci riesce solo grazie a un cognome importante. I miracoli sono rarissimi. Nonostante tutto ciò, la maggior parte delle donne italiane è sospettosa verso il sistema delle quote, alle quali si sente superiore; quindi è convinta, nonostante l’evidenza, che se a comandare sono quasi sempre gli uomini, in fondo sia giusto così.
Ultimamente si comincia a parlare di conciliazione tra lavoro e famiglia. Il ministro del Lavoro Sacconi ha appena firmato un’intesa con i sindacati per garantire orari flessibili nelle aziende e part time a chi ne ha bisogno per motivi familiari. Gli uomini, in linea di principio, non sono esclusi. Ma è ovvio che chi sceglie il part time sarà molto ma molto difficile che poi faccia carriera. E sono, neanche a dirlo, quasi sempre le donne a scegliere queste forme di flessibilità che se permettono di ”conciliare” i loro tripli ruoli, non le porteranno certo a superare il soffitto di vetro.
Un ultimo dato tratto dalla ricerca citata all’inizio sull’”iso-work”, pubblicata nel 2008 con il titolo ”Working hours and job sharing in the Eu and Usa”, Oxford University Press: gli uomini italiani, tra lavoro in casa e lavoro retribuito, toccano quasi il minimo in Occidente con una media di 405 minuti di attività al giorno (75 minuti di lavoro meno delle loro compagne)e certamente sono quelli che meno degli uomini di altri paesi si occupano di attività casalinghe. Ovvio che abbiano più tempo per occuparsi della propria carriera.