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 2011  marzo 09 Mercoledì calendario

INGLESE KILLER

«Risponderò asap», scrive il nostro interlocutore in una mail. Ecco, questa inedita sigletta che potrebbe riferirsi a una società di trasporti municipalizzata ci ha fatto capire che qualcosa sfugge alla nostra conoscenza. Asap? E che vuol dire? Che lingua è? Chiediamo delucidazione temendo di fare anche la brutta figura di chi non sta al passo con i tempi, e ci rispondono che “asap” è l’acronimo dell’inglese as soon as possible, che in italiano significa “il prima possibile”, ma il nostro amico, evidentemente, non aveva il tempo di digitare tutte quelle lettere sul computer così ha optato per il molto più “fico” asap. E vabbè. Evidentemente dobbiamo farci l’abitudine. Prima c’erano solo i familiari ok, no problem, il check in e i week end. Termini anglosassoni che non facevano e non fanno paura a nessuno. Oggi è un incubo di acronimi e neologismi infrequentabili che dal mondo del lavoro e delle imprese si estenderanno, temiamo, alla vita quotidiana, li sentiremo magari dal panettiere o dall’edicolante e noi dovremo essere preparati. Ormai il mitologico “briffa - re” è entrato nel lessico comune, sdoganato dall’igieni - sta dentale Nicole Minetti che chiamava così a raduno le ragazze di Arcore, ed è stato subito copiato dall’inter - nazionale Elisabetta Canalis, che, essendo fidanzata di George Clooney, un po’ di inglese ne mastica. Se le due devono fare una riunione dicono che devono “briffare”, appunto, da to brief, riunirsi, confrontarsi (più o meno). FORWARDARE E C. Passando dal lavoro alla tavola, se qualcuno particolarmente “avanti” tra i commensali vi invita a “sherare” un piatto di stuzzichini vuol dire che li vuole condividere con voi (dall’inglese to share). Oggi chiedere a un collega di inoltrare una mail (questa la capiscono tutti) è un’espres - sione superata: la gente moderna dice infatti “forwarda - re”, da to forward, che più o meno vuol dire “mandare avanti”. Naturalmente non stiamo a spiegare più di tanto i neologismi - mezzi italiani mezzi inglesi - creati dai social network perché se non si frequentano Facebook o Twitter a nessuno interessano i significati di “taggare”, “linkare” e “postare”. Termini che ormai sono intraducibili. Derivano da to tag, assegnare, to link, collegare, to post, scrivere un post. Però insomma, taggare vuol dire taggare, si dice così, che vogliamo farci. Ormai, paradossalmente, chi è pratico di questo inferno di termini specializzati non riesce più nemmeno a spiegarli in italiano pur essendo nato magari a Casalpusterlengo. “TBC” E “TBD” Visto che oggi non siamo più in grado di parlare nella nostra madrelingua, talmente siamo bombardati da queste parole maledette, proviamo almeno a fare un po’ di chiarezza nella giungla degli acronimi che fanno venire il nervoso solo a sentirli. Ultimamente vanno molto di moda “tbc” e “tbd”, che non sono malattie contagiose e neppure abbreviativi del molto più rassicurante e italianissimo “tvb”, ti voglio bene, che oggi usano anche gli uomini maturi, ma hanno diverse valenze. Tra impiegati e manager, ma non solo, per confermare un appuntamento si dice “tbc”, ossia to be confirmed; mentre “tbd” sta per to be defined, da definirsi. Come non saperlo. Siamo più abituati invece (ma non bisogna dare nulla per scontato) alla parola “aka”. Louise Veronica Ciccone “aka” Madonna, per esempio. La sigla sta per also known as, ossia “anche conosciuto come”. L’espressione “per tua informazione” è stato poi sorpassata da “fyi”, ossia for your information ma qui entriamo in un campo estremamente minato. Alla fine, se non sei un pubblicitario o un top manager, sei talmente stremato da questa mitragliata di fastidiose siglette che il tuo interlocutore vorresti semplicemente mandarlo “afc”. Non lo traduciamo perché è modo di dire poco elegante, ma almeno ha il pregio di essere italianissimo. E facilmente intuibile.