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 2011  marzo 09 Mercoledì calendario

Rimini, l’hotel di lusso rifiuta la stagista con il velo - Lear è un nome di fantasia perché la ragazza è minorenne

Rimini, l’hotel di lusso rifiuta la stagista con il velo - Lear è un nome di fantasia perché la ragazza è minorenne. Ma la storia che le si è rovesciata addosso è vera, triste e figlia di un’epoca. Di quelle storie che catalogare sotto la voce razzismo è forse eccessivo, trattandosi più che altro di un mix tra ottusità regolamentari e rigidità aziendale, ma tuttavia una storia pericolosa, che nei fatti produce discriminazione, quindi razzismo, anche se non voluto. Lear è una ragazza riminese a tutti gli effetti. Ha 17 anni, è cresciuta guardando la linea dell’Adriatico, pronuncia «burdèl» meglio di un bagnino e frequenta il terzo anno dell’istituto alberghiero «Malatesta» , tra l’altro con ottimi risultati, perché il suo obiettivo è trovare una nicchia professionale nella prosperosa industria del divertimentificio made in Romagna. Ma Lear, l’altro giorno, ha scoperto di avere un problema, che mai avrebbe immaginato. Un problema che non è dentro la sua testa, ma sopra e tutt’attorno: il velo, quello che la sua famiglia di religione islamica le impone e che, senza ribellarsi, ha sempre indossato. Lear, e con lei i dirigenti della scuola alberghiera, hanno scoperto che nella cosmopolita Rimini esistono ancora hotel di lusso dove non è possibile lavorare se porti il velo. E non è possibile nemmeno fare dei semplici stage, come quello di 3 settimane che avrebbe dovuto effettuare Lear alla reception e senza il quale mai potrà conseguire il diploma al «Malatesta» . «Io per primo sono rimasto di sasso — racconta il dirigente della scuola, Luigi Angelo Catalano —: su 600 studenti ne abbiamo almeno 150 stranieri, ma una cosa così non è mai successa. Quando ho contattato l’albergo, mi è stato chiesto se l’alunna portava il velo e alla mia risposta affermativa mi è stato detto che il regolamento non consentiva deroghe e che la ragazza, per essere accolta, avrebbe dovuto rinunciare a coprirsi il capo...» . E a nulla è servito sottolineare che quello di Lear non è un velo integrale ma un hijab, dove viso e occhi sono visibilissimi, «una sorta di foulard» aggiunge il preside. Tutto inutile. Stage saltato. Ma il caso, sollevato dal Corriere di Romagna e dal Carlino, è tutt’altro che finito. Intanto perché l’albergo in questione è uno dei santuari dell’accoglienza riminese: lo Sporting hotel, 4 stelle, dotato di ogni ben di dio, con vista sul mitico viale Vespucci, quello della movida e dei bei tempi che furono. E poi perché il direttore della struttura, Mattia Palazzi, uomo di grande esperienza nel settore, per anni vicedirettore del Grand Hotel di felliniana memoria, pur dicendosi «dispiaciuto per l’accaduto» e assicurando che «non era nostra intenzione ferire la studentessa» , non ci pensa nemmeno a fare autocritica, anzi: «Qui il razzismo non c’entra, qualsiasi ragazzo è ben accetto per periodi di stage, ne abbiamo avuti tanti. L’unica richiesta che facciamo alle scuole è di adeguarsi alle semplici regole di comportamento, che riguardano anche l’aspetto e l’immagine» . E aggiunge: «Quest’azienda segue criteri internazionali d’ospitalità, che nulla hanno a che fare con scelte politiche o di credo religioso» . Quindi niente velo, ma nemmeno crocifissi o anche piercing. Con la piccola differenza che per gli islamici il velo è spesso vissuto come un obbligo. Perso lo stage, Lear non perderà la possibilità di arrivare al diploma: «Andrà in un’altra azienda» dice il preside. Ma il problema a questo punto è più ampio. Se esistono e hanno un minimo di valore questi regolamenti interni, come potrà mai una donna con il velo lavorare in un albergo o in uffici che prevedano il contatto con il pubblico? «La questione si pone — afferma la presidente dell’associazione albergatori di Rimini, Patrizia Rinaldi —: nel comportamento del direttore dello Sporting non voleva esserci nulla di discriminatorio, solo l’applicazione di un codice di comportamento aziendale. Certo, per la ragazza è stato un brutto episodio, anche se la scuola poteva evitare di dare la vicenda in pasto ai giornali. Sottoporremo la questione ai vertici nazionali, si troverà una via d’uscita...» . Forse un pizzico di buonsenso dovrebbe bastare.