Paola Pica, Corrire della Sera 9/3/2011, 9 marzo 2011
SCATTA IL BLOCCO. CONGELATE LE QUOTE UNICREDIT - MILANO—
Chi è più esposto al delirio di Gheddafi: le imprese con interessi in Libia o le imprese partecipate dai fondi controllati dal Raìs? Il dilemma posto qualche giorno fa in un editoriale del Financial Times trova in Europa una prima risposta. Sulla scia di quanto già deciso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, l’Unione si appresta a bloccare, attraverso il meccanismo delle sanzioni, gli investimenti dei fondi sovrani di Tripoli nelle società europee. L’accordo raggiunto ieri prevede un passaggio il via libera formale entro il vertice straordinario dei capi di Stato e di governo in calendario venerdì, con il contestuale via libera dei singoli esecutivi nazionali attesi nelle prossime ore. Il provvedimento è di grande impatto in Italia, il Paese dove la rete libica è più estesa. E il gruppo più coinvolto è per ora Unicredit, la banca nella quale tra molte polemiche gli investitori di Gheddafi sono riusciti a conquistare il ruolo di primi azionisti con un pacchetto complessivo (dichiarato) del 7,5%. Un portavoce dell’istituto ha affermato ieri che se la decisione europea sarà confermata i diritti di voto degli azionisti di Tripoli saranno «congelati» . La quota del 7,5%risulta distribuita tra la Lia, Lybian Investment Authority, che ha in carico il 2,6%di Unicredit e a dispetto del nome non è un «Autorità» ma il fondo che gestisce il ricavato delle esportazioni di petrolio ed è controllato dalla Banca Centrale della Libia. Quest’ultima possiede il restante 4,98%circa e schiera il suo numero uno Omar Farhart Bengdara tra i quattro vicepresidenti del consiglio di amministrazione della banca italiana. Di Bengdara, dal quale pare non sia mai stato un granché facile ottenere informazioni nemmeno in tempo di pace, si sarebbero perse le tracce. Uno stringatissimo comunicato della banca aveva reso noto il 2 marzo scorso che i contatti erano stati ristabiliti dopo i silenzi che hanno accompagnato le prime fasi della rivolta. Ma ieri sera il governatore era dato di nuovo in fuga e anzi secondo alcune fonti Bengdara non si troverebbe più in Libia da diversi giorni. L’apertura ai libici, che pure non hanno fatto mancare sostegno e petrodollari nelle fasi più nere della crisi finanziaria e in particolare il blitz con il quale la Lia la scorsa estate si era aggiudicata il 2,6%aveva offerto il pretesto per indebolire la posizione di Alessandro Profumo, l’amministratore delegato costretto a lasciare lo scorso settembre. Tanto la Lia, che possiede tra l’altro il 2%di Finmeccanica e una piccola partecipazione, sotto il 2%, mai emersa, in Eni, quanto la Central Bank of Lybia sono finite nel mirino della Ue insieme a Lafico, la Libyan investment african portfolio e la Libyan housing infrastructure board. Lafico è oggi un importante azionista della Juventus con il 7,5%circa, ma in tanti la ricorderanno come socio della Fiat negli anni 70. Fonti diplomatiche hanno fatto sapere che sarebbe stato trovato un meccanismo per «evitare effetti indesiderati delle sanzioni sulle imprese europee» . Come il «congelamento» delle quote sarà attuato e con quali conseguenze sulla stagione delle assemblee, però, è ancora tutto da vedere. Per Giorgio Sacerdoti, professore di diritto internazionale all’Università Bocconi, il congelamento delle partecipazioni, dovrebbe «bloccare la disponibilità su queste quote e sterilizzare l’esercizio di qualunque diritto» , mentre i dividendi dovrebbero finire su un «conto di spettanza» . Non ci dovrebbero essere «riflessi particolari» in Piazza Affari, ha sostenuto l’amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi anche perché «quelle quote erano considerate strategiche e non erano di fatto disponibili» . Il faro resta puntato infine anche sulle imprese con forti interessi in Libia, come nel caso dell’Eni. Il gruppo petrolifero italiano gravato oltretutto da un’imposta a favore della Libia pari al 4%degli utili. Una tassa istituita dal Trattato firmato da Silvio Berlusconi nel 2008, oggi sospeso.