Donald Sassoon, Il Sole 24 Ore 6/3/2011, 6 marzo 2011
UOMINI IRRAZIONALI E GIOCHI DELLA STORIA
Ancora una volta il mondo è stato colto di sorpresa. E non solo il mondo; ma anche gli esperti, i servizi segreti, la stampa specializzata, i grandi opinionisti. Di sicuro salteranno e sono già saltate fuori delle eccezioni e sentiremo dire che qualcuno ci aveva visto giusto e che non è stato ascoltato. Eppure, per la stragrande maggioranza delle persone, le rivoluzioni democratiche (se di democrazia e di rivoluzione si può parlare) che hanno colpito il mondo arabo sono state come il proverbiale fulmine a ciel sereno. Non solo non le avevamo previste, ma non sappiamo nemmeno che cosa succederà e quali saranno gli effetti nel breve e medio termine (nel lungo, come diceva Keynes, saremo tutti morti). Pur essendo circondati da futurologi, il futuro, puntualmente, riesce a coglierci di sorpresa.
Nella celebre favola, I vestiti dell’Imperatore, è un bambino a far notare che il re è nudo, nella vita vera invece può capitare il contrario: che sia una regina a dire che l’economia è nuda. Due anni fa la regina Elisabetta inaugurò un nuovo edificio della London School of Economics. Sua Maestà, in genere sempre molto parca nell’esprimere la propria opinione, si è rivolta agli economisti che facevano gli onori di casa, per chiedere – con apparente innocenza –, come mai tutta la sofisticata scienza economica non fosse stata in grado di prevedere la crisi.
Forse la sua non era semplice curiosità. Nel corso del 2008 Sua Maestà aveva perso qualcosa come 40 milioni di dollari. Luis Garicano, docente di Economia e Strategia alla Lse le ha risposto che «a ogni fase c’era qualcuno che faceva affidamento su qualcun altro, e tutti credevano che stessero facendo "la cosa giusta"». Ma evidentemente non era così. Né si è ancora capito quale sarebbe stata la cosa giusta da fare. Come tutti sanno (economisti compresi), c’è una differenza enorme fra il comportamento individuale e quello collettivo. Conformarsi e fare quello che fanno gli altri, paga quasi sempre. La gran parte dei trader agisce così, è risaputo: legge gli stessi giornali, riceve le stesse indiscrezioni, sottoscrive gli stessi rapporti, compra quando stanno comprando tutti e vende quando stanno vendendo tutti. Qualche fortunato vende (o compra) un po’ prima degli altri e fa un mucchio di soldi, ma aveva davvero previsto gli alti e i bassi del mercato? Se questa fosse una questione scientifica, allora nessuno sarebbe in grado di prevedere nessuno. Se pochi eletti potessero accedere al software giusto in grado di fare previsioni, sarebbe come avere una bacchetta magica: guadagnerebbero ogni volta di più. Ma le bacchette magiche non esistono e nemmeno i programmi in grado di fornire previsioni infallibili. Anche a Warren Buffett capita di perdere ogni tanto: secondo «Forbes» 25 miliardi in dodici mesi (ben più dei milioni di dollari della Regina; ma lui è molto più ricco).
Il problema con le previsioni non dipende dalle nostre scarse capacità divinatorie, anzi, direi che ce la caviamo bene in materia. È impossibile vivere senza fare previsioni. E siamo anche piuttosto bravi a prevedere i rischi. Se giochiamo alla roulette, sappiamo che c’è una probabilità su 37 che esca lo zero. Quello che non possiamo prevedere è l’imprevedibile: il mattone che cade da un terrazzo, un terremoto, la nube di cenere prodotta da un vulcano islandese (la scienza non è ancora in grado di fare grandi previsioni per questi fenomeni "naturali"). La cosa più sbalorditiva – ed è per questo che la Regina aveva ragione di essere sorpresa – è che non riusciamo a prevedere i grandi eventi umani.
Nella mia vita, e probabilmente in quella di molti lettori, ci sono stati almeno tre grandi eventi inaspettati che passeranno di sicuro alla Storia. Il primo è l’avvento del fondamentalismo islamico a seguito della vittoria della rivoluzione khomeinista in Iran, nel 1979; il secondo è la caduta del Comunismo nel 1989-91; e il terzo è l’attuale crisi economica, la più grave dopo quella del 1929. Sono eventi tutt’altro che fortuiti, nel senso che non sono per niente come il mattone che cade o il devastante tsunami in Indonesia o i cicloni nel Golfo del Messico. Sono eventi, anzi, provocati dalle attività e dai grandi sistemi messi in atto dall’uomo, su un lungo arco di tempo. Anni di "sovietologia" non sono bastati per individuare le forze operanti all’interno dell’Unione Sovietica. Sono stati pochissimi gli esperti di Medio Oriente (e poche le persone all’interno dell’Iran stesso) consapevoli del mix potenzialmente esplosivo che Islam, nazionalismo e modernità avrebbero rappresentato. E ci sarebbero tanti altri eventi da aggiungere che pochi avevano previsto: la guerra di Corea, la bomba atomica russa, le invasioni sovietiche di Ungheria e Cecoslovacchia, la guerra dello Yom Kippur, ma anche l’invasione argentina delle Falklands, l’attacco dell’11 settembre alle Torri gemelle, l’invasione irachena del Kuwait nel 1991, la mancata vittoria in tempi brevi di Stati Uniti e alleati in Afghanistan e in Iraq. Naturalmente quei pochi avevano fatto una previsione precisa di quegli accadimenti, ma non erano stati presi sul serio. Il che non sorprende affatto perché di ipotesi contrastanti ce ne sono sempre, alcune sono azzardo puro, e il mondo è pieno di previsioni mancate. Tra l’altro il fattore più importante di una previsione è il tempismo. Io posso prevedere che prima o poi la crescita economica della Cina rallenterà, ma questo lo sanno tutti, anche i cinesi. Quello che non si sa è quando, come e per quanto tempo. E quali saranno le conseguenze.
Il tentativo di prevedere il comportamento umano è antico come il mondo: l’uomo si appellava agli oracoli delfici dispensati da vecchi sacerdoti o profetesse, interrogava l’I Ching o i druidi; sacrificava capre, pregava e, in tempi più recenti, cercava di registrare le regolarità in modo scientifico. Ma, come spiegava Keynes nel «Quarterly Journal of Economics» già nel febbraio 1937, noi abbiamo solo una minima idea di quello che accadrà poi. A volte, aggiungeva, ci preoccupiamo molto più delle conseguenze future che di quelle immediate, soprattutto quando si tratta di accumulo di ricchezza. Ma non possiamo sapere quale sarà il prezzo dei prodotti di base fra dieci o vent’anni o il tasso d’interesse o le quotazioni delle principali divise. Noi supponiamo – proseguiva Keynes – che il presente sia una guida per il futuro e poiché sappiamo che il nostro giudizio individuale non conta nulla, ci conformiamo al comportamento generale. Cosa c’è di tanto terribile in questo? Le nostre culture celebrano l’individuo, l’anticonformista, quello che osa sfidare la maggioranza. Pensiamo al numero infinito di film hollywoodiani e di fiction da quattro soldi sulla storia di un uomo che da solo sfida un’intera organizzazione e ne ammiriamo il valore e il coraggio, ma forse perché la maggior parte di noi è di un conformismo insopportabile. Senza contare che molti anticonformisti si sbagliano di grosso. A Londra c’è un vecchio che cammina su e giù per Oxford Street con un cartello che preannuncia la fine del mondo. La fiumana di passanti è tutta presa dai negozi e lo ignora. Un giorno potrà anche aver ragione, ma nel frattempo la sua vita sarà andata... e lui si sarà perso tanti giorni di shopping.
E poi, naturalmente, se fossimo tutti anticonformisti, il mondo sarebbe ancora più irrazionale e imprevedibile di quanto non lo sia già. Non potendo distinguere fra anticonformisti assennati e anticonformisti fuori di testa, la prudenza suggerirebbe che il conformismo non è poi una scelta così balorda. In qual caso però, ci sono due cose da tenere ben presenti. Primo: una sana dose di scetticismo verso tutti quei guru che ci dicono da che parte sta andando il mondo, i think-tank che dispensano previsioni, i procacciatori di instant-book dalla soluzione pronta, i dispensatori di rimedi economici con le loro insopportabili certezze. E, secondo: una tolleranza verso tutti coloro che cercano di spiegarci che cosa sta accadendo. Cercare di capire quel che accadrà domani, fra un mese o un anno, dopo tutto fa parte della natura umana.