Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 06 Domenica calendario

La guerra è per l’oro nero: vince chi conquista le raffinerie - In Libia la linea del fron­te più calda, fra governativi e ribelli, corre lungo il bacino della Sirte, il forziere del petro­lio con una potenziale riserva di 37miliardi di barili di oro ne­ro

La guerra è per l’oro nero: vince chi conquista le raffinerie - In Libia la linea del fron­te più calda, fra governativi e ribelli, corre lungo il bacino della Sirte, il forziere del petro­lio con una potenziale riserva di 37miliardi di barili di oro ne­ro. A Ras Lanuf dove si combat­te, fra conferme e smentite, per il controllo della città e Marsa El Brega bombardata nei giorni scorsi dall’aviazio­ne di Gheddafi, grandi azien­de italiane come Snamproget­ti e Saipem hanno realizzato impianti e raffinerie. Tutti obiettivi strategici che i ribelli tentano di conquistare ed i go­vernativi difendono a denti stretti utilizzando i baschi ros­si, i paracadutisti agli ordini di Khamis, il figlio con le stellette del colonnello Gheddafi. Non solo: la Libia, nonostante le sanzioni, continua ad esporta­re petrolio al ritmo di 570mila barili al giorno nell’ultima set­timana di febbraio, in piena ri­volta. A questo ritmo il regime di Gheddafi continuerà ad in­cassare circa 200 milioni di dollari alla settimana. Soldi che per le transazioni di greg­gio e gas in Europa passano attraverso la banca Ubae con se­de a Roma. Le sanzioni euro­pee e dell’Onu non colpisco­no l’istituto centrale libico, col­lettore finale degli introiti energetici. Non è un caso che ieri sia sta­to ordinato alle unità della 32ima brigata aviotrasportata di spazzare via l’enclave ribel­le di Al Zawia, 40 chilometri ad ovest di Tripoli. I carri armati del colonnello disertore, Hus­sein Darbuk, potevano facil­mente colpire le cisterne bian­che della raffineria sulla costa a pochi chilometri dal centro città. La più grande del Paese messa in funzione dalle conso­ciate del’Eni, la nostra azien­da nel campo petrolifero. Dar­buk è stato ucciso due giorni fa ed il figlio di Gheddafi ha ri­cevuto l’ordine di farla finita con l’enclave dei ribelli. I suoi baschi rossi, in mimetica da deserto e alette da paracaduti­sta sulle mostrine, sembrano soldati veri e presidiano armi in pugno la raffineria di Al Zawia. Il quartier generale del­la 32ima brigata si trova a cin­que chilometri ed un sorriden­te colonnello, che non dice una parola è responsabile del­la sicurezza della raffineria. L’impianto, che tratta 120mi­la barili di petrolio lavora al 75% della sua potenzialità. La raffineria è la principale risor­sa del mercato energetico in­terno: serve i distributori di benzina, il gas per le case e so­prattutto garantisce la funzio­nalità di un’importante cen­trale elettrica. In caso di black out gran parte di Tripoli reste­rebbe senza luce. «Noi lavoria­mo per il 100% dei libici», so­stiene Nasser Sharif, presiden­te della compagnia libica che gestisce la raffineria, lascian­do intendere che non convie­ne a nessuno colpirla. In rada, di fronte all’impianto, ci sono alcune petroliere ed una fiam­mella brucia da due torri che dominano la struttura. Da Al Zawia l’esportazione di greggio continua anche se a livello nazionale è calata, nell’ ultima settimana, a 400mila barili al giorno. Le grandi com­pagnie internazionali, a co­minciare dall’Eni, hanno eva­cuato il grosso del personale, ma gli impianti devono anda­re avanti lo stesso. «Alcuni spe­cialisti, pure italiani, sono ri­masti in Libia, perché non si possono chiudere del tutto i pozzi o i rubinetti del gas. Altri­menti gli impianti cedono », ri­vela una fonte de Il Giornale a Tripoli. L’Eni ha costituito con i libi­ci Mellitha, una joint venture che conta come fiore all’oc­chiello l’omonimo complesso sulla costa, poco distante dal confine tunisino. Da questo impianto parte il gasdotto Gre­enstream che arriva a Gela (10% del fabbisogno italiano). La Libia è il primo paese dell’ Africa per riserve energetiche con 42 miliardi di barili di pe­trolio e 1,3 trilioni di metri cu­bi di gas. Il governo di Tripoli è il più importante fornitore di greggio all’Europa. L’Eni ha deciso di investire 28 miliardi di dollari in Libia per lo sfruttamento dei giaci­menti di gas e greggio fino al 2040. Le mappe delle riserve li­biche si concentrano nel baci­no della Sirte, dove i combatti­menti sono non a caso sangui­nosi. I ribelli cercano di avan­zare verso ovest passando per città strategiche, dal punto di vista energetico e per gli inve­stimenti italo-libici, come Marsa El Brega e Ras Lanut, in direzione di Sirte, la città nata­le del colonnello. Il problema è che le multina­zionali del petrolio si sono già accaparrati i diritti di sfrutta­mento di ampie fette del baci­no della Sirte sulla terraferma. E pure in mare, davanti a Ben­gasi, roccaforte dei ribelli e Mi­surata, la terza città del Paese che sarebbe in mano ai rivolto­si. Non solo: l’Eni, come altre compagnie, ha concessioni nel bacino della Sirte ed in Ci­renaica. Nel caos della Libia non è chiaro come, con chi e perché verranno rispettati i contratti del regime di Ghed­dafi. Il colonnello, nel suo di­scorso fiume di mercoledì, ha accusato gli occidentali di vo­ler mettere la mani sull’oro ne­ro. E minacciato di ribaltare le carte in tavola: «Siamo pronti a far venire compagnie (petro­lifere) indiane e cinesi al posto di quelle occidentali».