MICHAEL T. KLARE, La Stampa 7/3/2011, 7 marzo 2011
Allarme per l’Occidente, le rivolte segnano la fine del greggio facile - Quale che sia l’esito delle rivolte che stanno spazzando il Nord Africa e il Medio Oriente, una cosa è sicura: il mondo del petrolio ne uscirà trasformato in maniera permanente
Allarme per l’Occidente, le rivolte segnano la fine del greggio facile - Quale che sia l’esito delle rivolte che stanno spazzando il Nord Africa e il Medio Oriente, una cosa è sicura: il mondo del petrolio ne uscirà trasformato in maniera permanente. Nel 2009 la macro-regione produceva 29 milioni di barili di greggio al giorno, e il suo contributo all’export di energia verso Usa, Europa, Cina e Giappone è stato di 20 milioni di barili al giorno, da paragonare con i 7 milioni di barili esportati dalla Russia, i 6 milioni dell’Africa (escluso il Nord) e il milione appena dell’intero Sud America. I produttori del Medio Oriente e del Nord Africa diventeranno ancora più importanti nel futuro prevedibile perché si stima che possiedano i due terzi delle riserve petrolifere mondiali residue. Secondo una recente proiezione del dipartimento americano dell’Energia, la macro-regione fornirà approssimativamente il 43% del petrolio globale nel 2035 e una quota ancora più grande di quella odierna dell’export verso i Paesi sviluppati. L’economia mondiale richiede forniture sempre maggiori di petrolio a prezzi accessibili. Solo il Medio Oriente e il Nord Africa possono fornirne. Questo è il motivo principale per cui i governi occidentali hanno sostenuto così a lungo regimi autoritari «stabili» in tutta la regione, fornendo loro armi e addestrando le loro forze di sicurezza. Ma adesso quest’ordine stolido e pietrificato, la cui funzione era di fornire petrolio all’economia mondiale, si sta disintegrando. Non fate assegnamento su alcun nuovo ordine che possa preservare l’Era del Petrolio continuando a fornire greggio a buon mercato. Tre quarti del milione e 700 mila barili di petrolio che la Libia forniva ogni giorno sono spariti dal mercato non appena i disordini si sono diffusi nel Paese. Gran parte di questo greggio resterà fuori mercato per un futuro indefinito. Ci si aspetta invece che l’Egitto e la Tunisia riescano a ripristinare rapidamente le loro produzioni ai livelli pre-rivolta, livelli che peraltro erano modesti in entrambi i Paesi, ma è improbabile che si imbarchino in grandi joint-venture con compagnie straniere per aumentare l’estrazione di greggio diluendo la quota di controllo locale. Né l’Iraq, la cui più grande raffineria è stata gravemente danneggiata da un attacco di insorti l’altra settimana, né l’Iran danno segno di volersi impegnare a spingere per un aumento significativo delle loro produzioni negli anni a venire. Il Paese decisivo è l’Arabia Saudita, che ha appena aumentato la sua produzione per compensare la perdita di output dalla Libia. Ma non aspettatevi che questo schema si possa ripetere per sempre. Se la famiglia reale saudita sopravviverà all’attuale ondata di sollevazioni, sarà senz’altro costretta a dirottare dalle esportazioni al consumo interno una quota crescente della sua produzione per ridurre il malcontento popolare sostenendo un più altro tenore di vita interno e per promuovere lo sviluppo dell’industria petrolchimica locale in grado di garantire salari mediamente più alti a una popolazione in rapida crescita. Dal 2005 al 2009 i sauditi hanno usato per i consumi interni 2,3 milioni di barili al giorno, lasciandone 8,3 milioni disponibili per l’export. Per evitare tensioni sui mercati internazionali del petrolio sarebbe necessario che l’Arabia continuasse a comportarsi così, ma non è probabile che questo succeda. Riad si è mostrata recalcitrante ad aumentare la produzione troppo oltre i 10 milioni di barili al giorno, per non depauperare troppo rapidamente i suoi pozzi petroliferi e non tagliare gli introiti futuri del Paese. Nell’aprile del 2010 l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Aramco, Khalid al-Falih, ha predetto che il consumo petrolifero interno saudita raggiungerà nel 2028 lo strabiliante livello di 8,3 milioni di barili al giorno, lasciandone solo un paio di milioni da destinare all’export. Se nel frattempo non si troveranno nuove fonti di energia, il mondo si avvia alla fame petrolifera.