Giorgio Dell’Arti, La Stampa 6/3/2011, PAGINA 86, 6 marzo 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 80 - I TRUCCHI DELLO STATUTO
La lingua italiana è la lingua officiale delle Camere ». L’articolo 62. Un guaio per Cavour. Tutta la discussione, nei vari Consigli di conferenza, si svolse però in francese. Alcuni pensano che lo Statuto sia stato scritto in francese, e poi tradotto. La Milizia comunale è stabilita all’articolo 76. I particolari vengono però rinviati a una legge da preparare. La Milizia comunale, alla fine, si rivelerà un flop. Articolo 77: « Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale ». Carlo Alberto non amava il tricolore. Questo articolo è in qualche modo ancora in vigore nello sport. Le nostre nazionali hanno la maglia azzurra. Non c’è una regola per cambiarlo, lo Statuto. Per la nostra Costituzione ci vogliono quattro passaggi parlamentari distanziati di sei mesi e si può ancora bloccare tutto con un referendum… Giusto. Anche se all’inizio si dice che lo Statuto è « Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia », bastava in realtà per correggerlo una legge ordinaria. I costituzionalisti dicono per questo che lo Statuto era «flessibile». Altro? Mi pare di no. Mi pare una costituzione non male. Sì? Allora vediamo. In una democrazia i poteri dovrebbero essere divisi, indipendenti uno dall’altro e controbilanciati. Quando diciamo «poteri», intendiamo alla Montesquieu: potere esecutivo, potere legislativo, potere giudiziario. Cominciamo dalla magistratura. L’indipendenza della magistratura, specialmente l’indipendenza dal potere esecutivo (cioè dal governo, dalla politica), è fondamentale. Rispetto alla situazione di prima, ci sono dei passi avanti notevoli. Dopo tre anni di servizio i giudici sono inamovibili, « nessuno può essere distolto dai suoi giudici naturali », i dibattimenti sono pubblici, spetta solo al giudice l’interpretazione della legge. Ottimo. Però: i giudici sono nominati dal re, « la Giustizia emana dal Re ». Beh, il re non ha mica il potere esecutivo. Invece sì. Articolo 5: « Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli solo è il Capo supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano ». Inoltre (articolo 6): « Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato; e fa i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle legg i», « Il Re sanziona le leggi e le promulga ».
E il governo? Nell’articolo 2 sta scritto: « Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo ». È quasi l’unico cenno. Non è comunque contemplato come organo collegiale dello Stato, come istituzione. Articolo 65: « Il Re nomina e revoca i suoi Ministri ».
E il presidente del Consiglio? Non c’è neanche il presidente del Consiglio. Scusi, ma come poteva funzionare? Allora il re doveva presentarsi alla Camera e… No. Poiché la « persona del Re è sacra ed inviolabile » (articolo 4) doveva ritenersi «irresponsabile», esattamente come adesso il nostro presidente della Repubblica. Quindi a sporcarsi le mani con la politica non potevano essere che i ministri. Ma che i ministri, tutti insieme, avrebbero costituito un consiglio e che ci sarebbe stato un presidente del Consiglio a dirigerli, questo non era detto. C’era qui astuzia e anche forse un tanto di poca pratica con i regimi parlamentari… Ma quello era un regime parlamentare? In che senso? Le due Camere ci sono: articolo 3. Che dice: « Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati ». «Collettivamente»: una legge non poteva entrare in vigore se il sovrano non era d’accordo. E i senatori erano tutti nominati dal re. « Il Re solo sanziona le leggi e le promulga » (art. 7). « La proposizione delle leggi apparterrà al Re e a ciascuna delle due Camere » (art. 10). Che potere aveva la camera elettiva in queste condizioni? Stando alla carta, poco.
La fiducia? Inesistente. « Al Re solo appartiene il potere esecutivo ». Quindi i ministri rispondevano in teoria solo al sovrano. La Camera non era d’accordo? Il re (articolo 9) « può… disciogliere quella dei Deputati ». Ma allora non era successo niente. Comandava su tutto il re. Sulla carta, sì. Sulla carta i tre poteri, blandamente divisi, si concentravano poi nelle mani del re. Si supponeva che esecutivo e legislativo avrebbero collaborato col sovrano, al quale spettava comunque l’ultima parola su tutto. Lei sa che in politica «collaborare» significa spesso «lottare». Lo Statuto o sarebbe stato abrogato in poche settimane, risultando impossibile da applicare (cosa che molti speravano) o avrebbe dovuto essere interpretato, attraverso una lotta tra il re e gli organi previsti (la Camera) e quelli non previsti, ma che sarebbero nati per forza, per ragioni pratiche. Per esempio: il presidente del Consiglio.
Per esempio, Cavour. L’8 marzo, quattro giorni dopo la promulgazione, i ministri che avevano scritto lo Statuto si dimisero in blocco. Il conte Borelli spiegò che la situazione adesso era completamente diversa, che ci voleva un governo coerente con lo Statuto. Carlo Alberto era stupito: li aveva nominati lui!, come osavano? Era solo il primo allarme di una battaglia tra istituzioni che sarebbe durata cent’anni.