[G. ZON.], La Stampa 7/3/2011, 7 marzo 2011
Antonietta, l’oro della fatica “Sto insieme con lo scotch” - Ci sono voluti solo 48 minuti per prendere un oro aspettato una vita e Antonietta Di Martino non lo porta al collo, lo tiene nella scatola
Antonietta, l’oro della fatica “Sto insieme con lo scotch” - Ci sono voluti solo 48 minuti per prendere un oro aspettato una vita e Antonietta Di Martino non lo porta al collo, lo tiene nella scatola. Un successo facile a guardare la gara, un’attesa assurda se si ripercorre la carriere di una donna che definisce se stessa «riattaccata con lo scotch». Forse per questo la medaglia sta al riparo, protetta: «C’è dentro il mio sangue, letteralmente perché non so neanche più quante volte mi sono spaccata, quanti dottori mi hanno riaggiustata. So che ho sempre pensato di andare avanti e questo non cambia». Non è cambiato neanche essere l’unica favorita, l’atleta da guardare, perché arrivata qui dopo aver saltato 2,04, record italiano e miglior misura dell’anno. È entrata subito in competizione, al primo turno anche se la misura era bassa (1,82) e lei giocava il ruolo inedito della rivale da battere. Invece zero tattica, dentro una mischia che non esiste e comunque lei non considera perché non guarda le avversarie, a stento si accorge delle successive eliminazioni. Le colleghe tentennano, inciampano, non sono all’altezza e Di Martino tira dritto fino a 1,99, quota a cui cedono l’argento Beitia e il bronzo Jungmark. Antonietta resta sola. Reagisce con un gesto minimo, il braccio che scatta in avanti prima di tornare all’angolo dove ha piazzato il suo zaino e dove si rannicchia a terra. Braccia strette al petto, una celebrazione intimista. Non chiede di alzare l’asticella oltre il suo primato per tentare il colpo, ma alza il pollice verso i giudici che passano automaticamente al salto successivo, 2,01: «L’oro andava preso oltre i due metri, andava omaggiato. Per il resto non c’era più testa, quando ho vinto mi è scesa l’adrenalina: mi ero imposta di essere all’altezza della grande occasione e raggiunto l’obiettivo mi sono scaricata». Sembra un robot, ogni gesto calcolato, ogni rincorsa pianificata e un rigore totale, persino nella mimica per revisionare i passi, con le dita che contano per essere del tutto certi di ogni mossa. Il 2,03 lo prova giusto per prassi e lo sbaglia tre volte senza mai considerarlo sul serio. «E va bene, due anni fa a Torino la Friederich ha vinto con questa misura e per me non è abbastanza solo perché non mi chiamo Friedrich? Noi italiani stiamo a discutere pure i trionfi, il punto è che sembravo sicura ma non mi ero mai trovata a gestire questa situazione. Alla fine ero svuotata». Mai dovuto reggere la pressione del pronostico, poca abitudine alla parola facile: «È sempre stato tutto maledettamente complicato, io non ho mai potuto confermare, ho sempre dovuto stupire per portare a casa qualcosa». Elenca la catena dei guai affrontati eppure non ha paura di aver perso tempo, «quella è la scusa che si dà chi non lavora abbastanza, se tu fai quel che devi, gli eventi esterni ti possono rallentare, non fermare». Fa scattare la scatola per controllare l’oro, c’è: «Questo adesso lo portiamo a casa».