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 2011  marzo 06 Domenica calendario

GLI ANNI DI VASCO

Eccolo, il Blasco, il monumento roccioso del rock italiano, alle prese coi suoi primi 59 anni, acciaccato ma non troppo, anzi radioso, a suo modo, foderato di intramontabili jeans con cinta borchiata, e lo sguardo azzurro, sempre limpido, quasi infantile. Arriva nel suo ufficio bolognese caracollando come un cowboy della bassa padana e per prima cosa piazza lì uno dei suoi tipici «yeeh!», quelli che mandano in visibilio il suo popolo. Del resto è l´unico al mondo capace di condensare tutto quello che c´è da dire in un semplice «yeeh!». «Oh, guarda», dice, «non me l´aspettavo neanche io!». Ma cosa, Vasco, cosa non si aspettava? «Di essere ancora qui, di riuscire a fare un disco nuovo, anzi ho scritto un sacco di pezzi in più, e magari qualcuno lo regalerei a parte, oltre al disco, ma quando dico queste cose mi prendono per matto, mi dicono che devo stare calmo, dormire di più».
E ride, si guarda intorno come un monello che ne ha fatta un´altra delle sue. A fine mese esce il disco, ma c´è già un video che circola in rete, si intitola E già: lui lì da solo nel nulla, senza trucchi, come appena uscito da notte dura, con un´aria svagata e blasfema che sembra dire: «Io sono così, se vi va mi prendete come sono». Ma com´è oggi davvero Vasco? Pare assurdo, ma oltre tutti gli stereotipi della leggenda "spericolata" quello che si vede nei suoi occhi e si legge nelle sue parole, è una singolare forma di saggezza: «Beh, un po´ di cose le ho capite, mi sembra anche a me di vedere le cose più chiare. Negli ultimi dieci anni sono maturato in modo incredibile, ho le mie idee, anche sulla politica, che prima vedevo confusamente. A dire il vero non è che poi mi piaccia molto, magari era meglio prima che vedevo tutto offuscato. La realtà, a vederla bene è dura, squallida, non sempre giusta, ma io la prendo come una sfida, dico sempre: andiamo a vedere fino in fondo, questo è quello che ci fa esser uomini, andare avanti nonostante tutto, anche se intorno la realtà ti fa schifo».
e la sua sfida, ovviamente è fatta di canzoni. Prende delle piccole casse, le monta sul computer e lancia musiche che fanno vibrare le pareti, ci canta sopra, mima con le mani un solo di chitarra. «Ho sempre sognato di suonare la chitarra elettrica, anche perché così uno sa cosa fare con le mani, all´inizio facevo fatica, non sapevo cosa farci, le mettevo in tasca». Il solito Vasco, sì, ma con tante cose nuove. Ha scoperto anche la lettura, ma «anche su questo vado d´istinto, come sempre. Mi son letto i romanzi dell´Ottocento, e anche tutta la Recherche. Dopo le prime quaranta pagine scritte solo per descrivere il risveglio rimasi allibito ma ero incantato, mi ha tirato dentro e alla fine l´ho letta tutta. Poi mi piace molto la filosofia, ero curioso, ho fatto quella cacata di scuola di ragioneria, e volevo conoscere, all´inizio un po´ per gioco. Poi ci ho preso gusto, e ho scoperto che spesso leggere direttamente gli scritti dei filosofi non è così difficile. Pensavo ci volesse un cervello superiore, e invece basta il mio, che non è un granché».
Ride di se stesso, come fosse anche lui sorpreso dallo strano destino che ha trasformato la sua vita. Ha scelto di vivere buona parte dell´anno a Los Angeles per poter essere come tutti gli altri. «Lì mi prendo una vacanza da Vasco Rossi e mi rilassa molto la possibilità di girare normalmente, qui purtroppo non è possibile, non è che mi lamento, eh, va bene così. Ho scoperto il supermercato, da anni non ci andavo più, ma più che altro è la tranquillità di dire: ho voglia di fare un giro senza pensare a niente. Lì lo faccio».
Eppure la qualità maggiore di Vasco Rossi, con la quale ha cambiato la canzone italiana, è aver usato per primo il linguaggio reale, quello che si parlava davvero nelle strade di Bologna. «Quando ho scritto Colpa d´Alfredo, era come se la stessi raccontando a un amico. Quando ero ancora a Zocca, ero uno dei primi che era andato a studiare, quindi ogni tanto usavo qualche parola un po´ più pulita, in italiano, e c´era subito qualcuno che diceva: "ecco, et mangià un vucabulare". Sono cresciuto così, quindi ho sempre cercato di parlare non meglio, peggio, per farmi capire da tutti». E oggi, da dove la prende l´ispirazione? «Non lo so neanche io com´è, me lo sono chiesto, ma mi succede, i ragazzi li sento, li vedo, li comprendo da piccole cose. Sono molto dentro le cose, anzi di più perché essendo fuori sono più osservatore, non ho mai perso questo collegamento, si vede che sono proprio uno normale. Poi mi fanno tenerezza certe cose che vedo perché le ho vissute, vedo le illusioni, i sogni. Ma bisogna sapere, imparare qual è la realtà: le illusioni non servono a un cazzo». C´entra qualcosa Internet? «C´entra moltissimo. Ho scoperto "feisbùk", ho capito che aumenta la possibilità di connettersi con gli altri. Ho scoperto anche la cattiveria, l´odio. L´anno scorso a Caserta, dopo l´ultima canzone dell´ultimo concerto del tour sono inciampato e son caduto. Ovviamente mi hanno ripreso con i telefonini e l´hanno messo su Youtube. Sono andato a vedere i commenti e ho letto insulti così pesanti da rimanere senza parole. Un odio pazzesco. All´inizio mi ha sconvolto, pensavo che dopo gli anni Novanta mi volessero un po´ tutti bene. Poi ho pensato che anche io a volte dico delle cose tremende, che è normale, però è stato importante, mi ha fatto rendere conto della realtà, che c´è anche l´odio, e come si odia un cantante non si odia nessuno, e io di passioni ne ho scatenate, anzi non io, perché io sono solo in rappresentanza di Vasco Rossi, è ovvio. L´ultimo aveva scritto: "Spero che ti venga un ictus vecchio drogato di merda", allora a questo gli ho risposto: "Spero che mi venga un ictus anche io, vecchio non posso dire di essere giovane, drogato devo dire che ho fatto le mie esperienze e non me ne vergogno, potrei discutere solo sul di merda, ma anche di questo in fondo...". Insomma bisogna prenderle così».
Allora è proprio vero che Vasco è diventato saggio, ma riesce ancora a divertirsi? «Non mi sono fatto mancare niente, diciamo così, ma anche questo col tempo cambia. C´è stato un periodo in cui ero in crisi di brutto, perché non riuscivo più a divertirmi come una volta, e non trovavo motivazioni nuove. Diciamo che il calo d´energia l´ho sentito. La mia vita artistica ha tanti momenti bellissimi ma non è sempre così, a volte le cose non mi vengono bene, ci metto mesi a finire una canzone, ma la sfida è bella». Eppure ad ascoltare Vita spericolata verrebbe da pensare che è una canzone perfetta, di quelle che arrivano così, d´incanto, senza fatica. «Per niente: ci ho messo un anno a scrivere la prima frase. Perché mi piaceva talmente tanto la musica di Tullio Ferro che volevo scrivere un testo all´altezza, e ogni volta che provavo mi sembrava orrendo. Poi un giorno è arrivata la prima frase: "voglio una vita..." e lì mi sono sbloccato, avevo ben chiaro la vita che volevo: maleducata, piena di guai...». Ma dopo questa vita maleducata un bilancio di questi 59 anni se la sente di farlo? «Sono trent´anni di onorata carriera, anzi di più, ho iniziato nel 1978, e se me l´avessero detto... Io pensavo che non sarei durato più di cinque anni, poi quando arrivò Vita spericolata per me era già il massimo, più di così, cosa vuoi che faccia? Dopo è stata dura, non riuscivo a scrivere niente. Poi un giorno mi sono messo a giocare con le parole e di botto me ne sono venute quattro o cinque… fino al Blasco, quella l´ho scritta in piscina senza neanche la chitarra, scherzavo, cantavo a squarciagola: ecco, la combriccola del Blasco». A sentire questi racconti, la sua sembra una vita in fin dei conti guarita dalle canzoni. Sono state la sua via di salvezza? «Cazzo! Io tutti i giorni, un centinaio di volte al giorno avrei il senso di buttarmi via, di mollare, però ogni volta trovo la voglia di reagire, e poi se vengono fuori cose belle, ben venga, ma c´è un costo, il mio cervello è sempre in precario equilibrio, ci sono le crisi di panico, le depressioni, diciamo che la vita normale è dura. Poi si cresce, appunto, e per fortuna. A vent´anni una ragazza mi regalò il libro di Osho. Lessi le prime righe: quando sei nervoso pensa a come respiravi quando non eri nervoso. L´ho preso e l´ho buttato via. Poi mi è capitato di leggerlo in un altro momento e l´ho apprezzato molto».
Non pensa che ci sia stato una sorta di tradimento di certi ideali? «È scattato un interruttore, anche io pensavo nei Settanta che il mondo sarebbe andato in modo completamente diverso, che sarebbe migliorato, e una ribaltata così non me l´aspettavo, è incredibile, quasi ridicolo, le cose sono andate male e le cose hanno anche dei nomi e cognomi, li conosciamo bene. Ma andiamo comunque avanti. Ho sempre avuto queste reazioni, quando sono con le spalle al muro, disperato, reagisco, combatto, mi viene istintivo, appena penso "mi arrendo", viene subito fuori il contrario, non m´arrendo per un cazzo, più schifo mi fa più vado avanti, anche l´album nuovo è nato così, da bastian contrario».
Dovesse dire qual è il valore più importante della sua vita fino a questo momento, quale sarebbe? «La condivisione è la parola fondamentale. L´ho capita bene ultimamente giocando con queste attrezzature, cose di rete, io poi se non condivido una cosa con qualcuno è come se non l´avessi vissuta, forse è questo che piace nelle mie canzoni. Quelli che mi seguono si sentono confortati quando parlo di certe cose che han già dentro, me lo dicono spesso, vanno a lavorare la mattina, mettono su la canzone, si sentono caricati da questa voglia di non arrendersi. Soffriamo, paghiamo, ma si va avanti e in fondo siamo tutti un po´ uguali. Tutta la mia storia è fatta di cose non calcolate. E poi io vengo dai Settanta, il nostro mito era la spontaneità, a tutti i costi. Meglio sbagliare ma con spontaneità, senza finzioni, contro l´ipocrisia, i compromessi, una parola che ci faceva venire vergogna, poi in certe cose li fai, li devi fare, ma su altre no, sarebbero tradimenti. Come dico nella nuova canzone: sarebbe come vendere l´anima al diavolo, ma noi l´anima al diavolo non la vendiamo, casomai gliela regaliamo».