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 2011  marzo 07 Lunedì calendario

NELLE CRISI ARABE C´È UN NUOVO INIZIO

Un visitatore extraterrestre che fosse sbarcato sulla Terra mille anni fa probabilmente avrebbe pensato che a colonizzare l´America sicuramente non sarebbero stati gli europei, così primitivi, ma la più avanzata civiltà araba.
E il risultato sarebbe che noi americani oggi parleremmo tutti arabo. Ma dopo il 1200 circa il Medio Oriente si è preso una lunga pausa: è entrato in stagnazione economica e oggi analfabetismo e autocrazia la fanno da padroni. E mentre in tutta la regione dilagano le proteste per la democrazia, viene spontaneo porre una domanda fondamentale: perché c´è voluto così tanto? E un´altra domanda, politicamente scorretta: la ragione dell´arretratezza del Medio Oriente potrebbe essere l´Islam?
Il sociologo Max Weber e altri studiosi sostenevano che l´Islam, per le sue caratteristiche intrinseche, non si presta allo sviluppo di un´economia capitalistica, e qualcuno ha sottolineato in particolare gli scrupoli islamici nei confronti del prestito a interesse.
Ma è una tesi che non convince. Altri esperti fanno notare che l´Islam per certi versi è più propizio all´impresa di altre religioni. Il profeta Maometto era un mercante di successo, e aveva molta più simpatia per i ricchi di quanta ne avesse Gesù. E il Medio Oriente nel XII secolo era un centro globale della cultura e del commercio: se oggi l´islam soffoca la libera impresa, perché all´epoca non la soffocava?
Quanto all´ostilità verso il prestito a interesse, precetti analoghi si trovano anche in testi ebraici e cristiani, e quello che il Corano proibisce non è l´interesse in quanto tale, ma la "riba", una forma estrema di usura che può condurre alla schiavitù il debitore insolvente. Fino al tardo Settecento in Medio Oriente quelli che di mestiere prestavano denaro potevano essere musulmani, cristiani o ebrei, senza distinzioni. E oggi pagare gli interessi è una pratica abituale anche nei Paesi islamici più conservatori.
Molti arabi hanno una teoria alternativa sulla ragione dell´arretratezza della regione: il colonialismo occidentale. Ma è una spiegazione altrettanto capziosa, e anche inesatta. «Pur con tutti i suoi lati negativi, il periodo coloniale in Medio Oriente non ha portato stagnazione, ma trasformazioni importantissime; non ha portato diffusione dell´ignoranza, ma alfabetizzazione e istruzione; e non ha portato impoverimenti, bensì un arricchimento senza precedenti», scrive Timur Kuran, storico dell´economia alla Duke University, in un nuovo saggio frutto di ricerche meticolose e intitolato The Long Divergence: How Islamic Law Held Back the Middle East ("La lunga divergenza: il peso del diritto islamico nell´arretratezza del Medio Oriente").
Il libro del professor Kuran fornisce la spiegazione migliore del ritardo del Medio Oriente. Dopo un attento studio di antichi documenti aziendali, Kuran afferma, con argomenti convincenti, che la causa dell´arretratezza del Medio Oriente non è l´Islam in sé e per sé, e nemmeno il colonialismo, ma una serie di prassi giuridiche secondarie del diritto islamico, che oggi hanno perso totalmente rilevanza.
È una tesi complessa, che è impossibile riportare nello spazio limitato consentito da un articolo di giornale, ma uno degli impedimenti, per fare un esempio, era dato dal diritto ereditario. I sistemi occidentali normalmente trasferivano tutte le proprietà in blocco al primogenito, preservando i grandi latifondi. Il diritto islamico invece prevedeva una divisione dei beni più equa (compresa una parte che andava alle figlie), ma questo si traduceva in una frammentazione delle grandi proprietà. Una conseguenza di questo sistema era che non c´era un accumulo di capitale privato sufficiente a sostenere quegli investimenti necessari per mettere in moto una rivoluzione industriale.
Il professor Kuran mette l´accento anche sul sistema di partenariato islamico, usato normalmente come veicolo per le attività imprenditoriali. I partenariati islamici si scioglievano ogni volta che moriva uno dei soci, e quindi normalmente comprendevano solo un ristretto numero di soci, con conseguente difficoltà a reggere la concorrenza delle grandi corporation industriali e finanziarie europee, che avevano dietro centinaia di azionisti.
Lo sviluppo del settore bancario in Europa fece scendere i tassi di interesse a lungo termine nel Regno Unito di due terzi, preparando il terreno per la Rivoluzione Industriale. Nel mondo arabo questo successe solo con il periodo coloniale.
Simili impedimenti tradizionali nel XXI secolo non sono più un problema. I Paesi islamici ormai hanno banche, grandi aziende e mercati azionari e obbligazionari, e il diritto ereditario non rappresenta più un ostacolo all´accumulazione di capitale. Dunque, se la diagnosi del professor Kuran è corretta, il futuro dovrebbe essere roseo (e il boom economico della Turchia negli ultimi anni dimostra le potenzialità di una rinascita).
Ma c´è un problema psicologico. Molti arabi incolpano gli stranieri per la loro arretratezza, e reagiscono rifiutando la modernità e il mondo esterno. È una disgrazia che un´area che un tempo produceva una scienza e una cultura straordinarie (regalandoci parole come algebra) ora abbia livelli di istruzione tanto bassi, soprattutto per quel che riguarda le ragazze.
La crisi nel mondo arabo offre l´occasione per un nuovo inizio. Spero che ci sia un dibattito franco e senza infingimenti, da tutte le parti, sugli errori fatti, come punto di partenza per un percorso nuovo e con prospettive migliori.
I Fratelli musulmani spesso hanno usato lo slogan: «L´Islam è la soluzione». E per l´Occidente, la percezione inconfessata, di fronte al panorama deprimente offerto dal Medio Oriente, spesso è stata: «L´Islam è il problema». La ricerca del professor Kuran suggerisce che la visione più corretta, almeno per il futuro, è che l´Islam non è il problema né la soluzione, è semplicemente una religione; e questo significa che la pausa è finita, che non ci sono più scuse e che è tempo di ricominciare ad avanzare.
(traduzione di Fabio Galimberti)