Monica D’Ascenzo, Il Sole 24 Ore 7/3/2011, 7 marzo 2011
LA MIMOSA DI UN GIORNO E LE BATTAGLIE DI UN SECOLO
«Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, ha ugualmente il diritto di salire alla tribuna». Era il 1791 quando Olympe De Gouges riformulò al femminile la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Femminista ante litteram, scrisse le sue opere circa due secoli prima che la consapevolezza di certe rivendicazioni divenisse un moto collettivo. Moto che si celebra in Europa da 100 anni e che ha portato a conquiste importanti. Eppure l’impressione è che resti ancora molto da fare.
Alla vigilia della giornata internazionale della donna, quella che celebra il centenario, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, si augura di incassare il consenso delle parti sociali sul piano di conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. Telelavoro in alternativa ai congedi parentali o facoltativi, banca delle ore, orari flessibili in entrata e in uscita entro i primi tre anni di vita del bambino, trasformazione temporanea del rapporto di lavoro a tempo pieno in tempo parziale per i primi cinque anni del bambino o per assistere genitori e familiari, detrazioni del 10% per le aziende che implementano programmi simili: questi i punti fondamentali su cui si discute. Il dialogo è ripreso, ma l’intesa non sembra così vicina.
Nelle stesse ore si cercherà un accordo al Senato sulla proposta di legge per le quote di genere nei consigli di amministrazione e sempre al Senato si voterà il ddl sulle madri detenute e la mozione su donne e sistema media.
Piccoli passi che non colmano il divario tra i due generi che pone l’Italia al 74esimo posto del Global gender gap index stilato dal World economic forum.
Già solo in Europa siamo agli ultimi posti per occupazione femminile, accesso alle posizioni apicali nelle aziende, rappresentanza politica in parlamento, presenza femminile ai vertici delle istituzioni. Un motivo in più per pensare che, in fondo, "le questioni di genere" continuino a rimanere confinate al dibattito tra esperti, economisti e sociologi, e che fatichino a entrare nell’agenda politica a pieno titolo. Ormai le mimose di un sol giorno non bastano più a far dimenticare le amnesie di un anno intero. - L’OCCUPAZIONE FEMMINILE PAGA DI PIÙ LA SCARSA CRESCITA - Disegno di legge sulle detenute madri, mozione su donne e sistema dei media, proposta di legge sulle quote di genere nei cda. I lavori di questa settimana al senato saranno dedicati ai temi femminili. In aula sarà votato il disegno di legge che prevede che le mamme con bambini fino a sei anni, se imputate, non potranno essere sottoposte a custodia cautelare in carcere. Inoltre passerà al vaglio dei senatori una mozione, prima firmataria Vittoria Franco (Pd), che impegna il governo «ad assumere le iniziative necessarie affinché il sistema radiotelevisivo pubblico (...) svolga un’opera di sensibilizzazione al rispetto della diversità di genere e della dignità delle donne». alla Commissione Finanze, infine, si cercherà un’accordo sulla proposta di legge sulle quote nei cda (si veda articolo in pagina).
Una settimana all’anno dedicata alle donne, però, non è sufficiente e lo si può leggere fra i numeri dell’ultima indagine Istat. L’occupazione femminile a gennaio è tornata sui livelli della primavera del 2006. Dopo un trend positivo, anche se molto lento, dal 2004 al 2008, quando l’occupazione femminile toccò il record dal 47,7%, il dato negli ultimi due anni è andato inesorabilmente peggiorando. Le donne, che sembravano aver retto meglio di fronte alla crisi, stanno, invece, subendo le conseguenze di un’economia che stenta a ripartire, tanto che la disoccupazione femminile viaggia al 9,8% e il tasso di inattività ha raggiunto il 48,6 per cento.
Eppure le ragazze sono il 60,1% dei laureati, secondo i dati di Alma Laurea, e finiscono prima (40,6% in corso contro il 37% dei ragazzi) e meglio (voto medio 104,2 contro il 101,4) i corsi di laurea. Stessa cosa si dice per i concorsi, che siano quelli d’avvocatura o di magistratura, dove le donne contavano all’ultimo concorso del 2004 per il 60% dei vincitori. Per non parlare poi del gap salariale a parità di livelli occupazionali che varia dal 10 al 25% aumentando con l’aumentare dei livelli di studio; del lavoro precario che vede le donne titolari del 60% dei contratti a progetto; dell’abbandono del lavoro dopo il primo figlio che interessa una donna su quattro; della mancanza di opportunità di carriera nelle aziende tanto che le donne contano solo per il 20% del management.
Sarebbe, quindi, necessario mettere all’ordine del giorno dei lavori parlamentari disegni di legge che vadano nella direzione di una maggiore equità all’accesso al mondo del lavoro. E le proposte non mancano: dalla detassazione del lavoro femminile è stata proposta in senato da Enrico Morando e Pietro Ichino (Pd) alle detrazioni aggiuntive per le donne che svolgono un’attività lavorativa o imprenditoriale e hanno figli a carico proposta da Maria Ida Germontani (Fli); dal congedo obbligatorio anche per il padre proposto da Barbara Saltamartini (Pdl) all’esclusione dall’applicazione degli studi di settore per le libere professioniste nei primi due anni di maternità proposto da Alessia Mosca (Pd). - UN SEGNALE DALLA COMMISSIONE FINANZE - Domani al posto delle mimose le donne gradirebbero un segnale concreto. Questo continuano a ripetere manager, professioniste e associazioni femminili, impegnate nell’ultimo periodo a sostenere la proposta di legge bipartisan Golfo-Mosca per le quote di genere nella costituzione dei cda. E domani il segnale concreto potrebbe arrivare dalla commissione finanze del Senato.
La scorsa settimana è stato trovato l’accordo sulle sanzioni: il cda o il collegio sindacale che non rispettarà la quota di un terzo riservata al genere meno rappresentato non decadrà subito ma dopo due diffide e un tempo massimo di sette mesi. Un accordo sembra vicino anche sull’applicazione della legge: la proposta prevedeva l’entrata in vigore sei mesi dopo l’approvazione e a cominciare dal primo rinnovo degli organi societari. L’emendamento del governo, su pressioni di Confindustria, Abi e Ania, prevedeva invece la gradualità dell’applicazione con il raggiungimento della quota entro tre mandati (quindi nove anni). La relatrice della legge al senato, Maria Ida Germontani (Fli), ha proposto il raggiungimento del l’obiettivo in due rinnovi con una prima tappa di un quinto di donne dal 2012 e successivamente un terzo.
Resta il fatto che una particolare attenzione è stata prestata alla stesura della norma e dovrà essere applicata anche agli eventuali emendamenti. Secondo diversi giuristi, infatti, c’è il rischio di una serie di ricorsi se il testo presterà qualche spiraglio. Proprio per questo nella proposta non si parla di "quote rosa", che sarebbero state incostituzionali perché discriminatorie verso gli uomini,ma di quote di genere: vale a dire che la norma ha valore sia che il consiglio sia tutto al maschile, sia che il consiglio sia tutto al femminile. Garantisce, quindi, entrambi i generi. Inoltre, per non risultare incostituzionale la norma è stata studiata in modo che sia temporanea (ha validità per tre mandati) e non perpetua. In questo modo rientra nelle azioni positive previste dalla costituzione per ristabilire una parità sostanziale e non solo formale.