Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 6/03/2011, 6 marzo 2011
A lcune grandi banche europee— le inglesi Hsbc e Barclays, la Deutsche Bank, l’olandese Rabobank— stanno modificando le rappresentanze legali negli Usa per non aumentare il capitale delle loro filiali americane: un’astuzia, spiega il Wall Street Journal, per aggirare il Dodd Frank Act, la riforma finanziaria di Obama appena varata
A lcune grandi banche europee— le inglesi Hsbc e Barclays, la Deutsche Bank, l’olandese Rabobank— stanno modificando le rappresentanze legali negli Usa per non aumentare il capitale delle loro filiali americane: un’astuzia, spiega il Wall Street Journal, per aggirare il Dodd Frank Act, la riforma finanziaria di Obama appena varata. La svizzera Ubs polemizza con le autorità britanniche per il giro di vite sulla City: di questo passo, avverte, le attività di investment banking verranno trasferite in Asia o negli Usa, dove la manica del regolatore resta più larga. Il Financial Times, infine, registra l’impennata delle paghe dei banker inglesi, tedeschi e svizzeri, a dispetto del calo dei bonus: una beffa, mentre l’economia reale arranca. Questo accade mentre il governatore Mario Draghi si spende per ammonire i banchieri a rafforzare i patrimoni delle banche, sorvegliare la trasformazione delle scadenze, adottare comportanti e accettare norme che consentano a chi non ce la facesse più di fallire senza trascinare nel gorgo il sistema. È il manifesto del candidato di miglior reputazione alla presidenza della Bce, la Banca centrale europea, che si basa su due fondamenti: uno è l’esperienza dello stesso Draghi alla guida del Financial Stability Board nel fuoco della crisi; l’altro è la storia della Banca d’Italia. Manovrando il cambio della lira e i tassi (e poi, con l’euro, partecipando alle decisioni della Bce in materia) assieme alla vigilanza e alla tutela della concorrenza (condivisa ora con l’Antitrust), la nostra banca centrale ha pilotato la modernizzazione del sistema bancario italiano mantenendolo ancorato all’economia reale assai più di altri sistemi, a cominciare da quello tedesco, per quanto la Bild possa titolare «Mamma mia!» le notizie su Draghi. Passare dalle parole ai fatti sarà dura. La Bce dovrà convincere le banche centrali dei Paesi dell’euro, la Federal Reserve e la Bank of England a mettere il guinzaglio ai soggetti più votati al rischio finanziario. Convinto di averla fatta franca, l’investment banking torna alle paghe dorate, aggira le riforme, minaccia l’arbitraggio regolatorio tra i Paesi: divide et impera alla faccia dei contribuenti che l’hanno salvato. Ma le banche non operano su licenza? È davvero troppo minacciare di sospenderla a quelle che esagerano con le furbizie oppure emarginarle dagli affari per iniziativa di un establishment capace di un po’ di orgoglio nazionale? Forse è troppo per chi ha un ingente debito pubblico o sulla finanza ha scommesso ormai da anni. Resta che lo stato patrimoniale della Bce la dice lunga sul pedaggio pagato alle follie dei banchieri e dei governi corrivi: dal 2007 al settembre 2010 le attività totali della Bce sono passate da 173 miliardi di dollari a 2890 miliardi (il 5,3%del Pil dell’Eurozona), quelle della Federal Reserve da 915 a 2305 miliardi (il 2,5%del Pil Usa) e quelle della Bank of England da 79 a 359 miliardi (il 2,9%del Pil britannico). Queste attività sono in buona parte titoli illiquidi. La crisi potrà dirsi finita quando la disoccupazione sarà rientrata, e quando le banche centrali riavranno i conti di prima. mmucchetti@corriere. it © RIPRODUZIONE RISERVATA