Franco Bruni, La Stampa 1/3/2011, 1 marzo 2011
Tremonti li chiama i mostri dei videogiochi: ne uccidi uno e ne spunta un altro, diverso e peggiore
Tremonti li chiama i mostri dei videogiochi: ne uccidi uno e ne spunta un altro, diverso e peggiore. La crisi finanziaria ha visto succedersi il disastro dei derivati, il fallimento delle banche, il crollo del commercio, la guerra delle monete, l’incubo dei debiti pubblici. Ora lo sfondo del videogioco è diventato più politico: è arrivata la crisi del Sud-Mediterraneo e del Medio Oriente. Di rimbalzo, sono pronti nuovi mostri economici globali: crisi energetica e stagflazione. Da qualche parte si nasconde un generatore di mostri che li collega, ma non è facile individuarlo e siamo sconfortati dall’incapacità di prevedere il prossimo. C’è un parallelo fra la crisi finanziaria scoppiata nel 2007 e la crisi politica mediterraneo-mediorientale. In entrambi i casi è mancata la considerazione di come vari rischi, singolarmente valutati e prevedibili, possano improvvisamente «fare sistema». E’ stato sottovalutato il monitoraggio dei possibili contocircuiti. Sapevamo analizzare i rischi di singole banche, di singoli mercati: siamo stati sorpresi dall’intreccio sistemico che li ha collegati fra loro, moltiplicandone enormemente la dannosità. Conoscevamo le determinanti del rischio politico di singoli Paesi: siamo stati sorpresi dall’intreccio che travolge la stabilità di un’intera area geopolitica. E’ probabile che nella crisi mediterranea si siano improvvisamente incrociati gli effetti dirompenti di una serie di fenomeni molto diversi: un punto critico dell’evoluzione demografica; il superamento nella regione di una soglia critica nelle comunicazioni cellulari e di Internet; uno choc ai prezzi alimentari e quindi alla distribuzione del reddito di Paesi poveri; un’accelerazione informe, diseguale e traumatica del Pil di diversi Paesi africani; nuove opportunità e tensioni attorno al potenziamento di Suez; un momento geopolitico e ideologico dove la cerniera della Turchia, con la congiuntura di successo del suo modello, indica strade nuove e meno bloccate su opposti fondamentalismi; una criticità della congiuntura energetica mondiale, dovuta anche all’eccezionale corsa allo sviluppo della Cina e di altri Paesi emergenti; le tensioni iraniane; la multiforme crisi della leadership Usa e il fallimento della loro diplomazia in Israele-Palestina. E altri ancora. Gli economisti finanziari in questi ultimi tre anni hanno imparato la lezione: il videogioco li sorprende ancora, ma hanno capito che la strategia di difesa comporta la mappatura dei collegamenti fra i vari elementi di rischio, la misura, così si dice, del «rischio sistemico». A ogni banca si cerca oggi di associare non solo un indice di rischio individuale, ma una misura dell’impatto che le sue difficoltà possono esercitare sulla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. Sia in Usa che in Ue sono state addirittura istituite nuove «autorità», col compito specifico di controllare i rischi sistemici, utilizzando anche nuovi strumenti di politica economica. Quello che è successo in Tunisia, Egitto, Libia e altrove, richiede ora una sollecita estensione del monitoraggio dei rischi sistemici al fronte socio-politico. Dopo aver tanto parlato di stabilità finanziaria globale occorre rimettere a fuoco la questione della stabilità politica globale. E’ impressionante come i vertici di questi ultimi anni, i G8 e i G20, abbiano parlato quasi solo di economia e finanza: anche questo è un sintomo di «veduta corta», come disse PadoaSchioppa citando Dante. Senza un miglioramento dell’analisi socio-politica sistemica, globale, la discussione e la riforma dell’economia è miope e zoppa: economia e politologia devono lavorare a più stretto contatto. Perché è ovvio che il mostro economico-finanziario può generare mostri politici, ma è altrettanto ovvio il contrario. Non basta riformare e potenziare il Fmi, occorre una sorta di sede Onu dove mettere a sistema il monitoraggio socio-politico e incrociarlo con quello economico-finanziario. Quale sarà il prossimo mostro? Qualcuno teme venga dalla Cina. Forse si sbaglia, ma ha diritto che l’ipotesi sia esaminata a fondo, da tutti i punti di vista. Dalla Cina il mondo prende oggi i risparmi per finanziare i suoi deficit, riceve stimoli per riprendere a crescere e la visione di una forma di stabilità politica che arriva a far dubitare che il nostro sistema di democrazia elettoralistica sia il migliore possibile. Ma lo sviluppo della Cina vede oggi anche pressioni inflazionistiche che i prezzi dell’energia rischiano di acutizzare e implica trasformazioni socio-politiche che, anche tramite la diffusione di Welfare di tipo occidentale, potrebbero creare complesse discontinuità nella competitività e nel ritmo della crescita cinese. Il rimbalzo sul resto del mondo sarebbe difficile da gestire. D’altra parte i cinesi sono anche famosi per avere una «veduta lunga»: se lavoriamo insieme possiamo evitare di farci sorprendere troppo brutalmente. franco.bruni@unibocconi.it