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 2011  marzo 05 Sabato calendario

QUEL CROCEVIA DEL CAPITALISMO CUCCIANO - I

conti Ginori. Il dottor Cuccia. La signora della finanza Anna Bonomi Bolchini. Il pirata Mario Schimberni. Il contadino Raul Gardini. Il delfino Maranghi. Salvatore Ligresti. Anzi, Don Salvatore. E ora, chissà, l’ingegnere agricolo Jean Azéma.

La Fondiaria non è una semplice compagnia assicurativa. È uno specchio in cui si è riflessa la storia del nostro paese. Uno snodo che, ancora oggi, è fondamentale per capire gli equilibri e intuire le linee di tendenza di un capitalismo che, da sempre, è sospeso fra la dimensione ricca e acquattata della provincia e la finanza internazionale più sofisticata e sfrontata. Firenze, Milano, Ravenna, Paternò e adesso Parigi.

A metà degli anni Cinquanta Mediobanca entra in Fondiaria con una quota del 7 per cento. Una partecipazione strategica e redditizia, in una società fondata nel 1879 da famiglie nobili fiorentini come i Ginori, i Pecci, i Pontremoli e i Perrone. Una partecipazione che, nel 1984, è pari al 15 per cento. Gli azionisti di controllo sono i Bonomi: tramite la Bi-Invest hanno il 25 per cento. All’improvviso il nostro sistema economico e politico viene scosso dai progetti "riformatori" di Mario Schimberni in Montedison, che propugna la public company all’anglosassone e contrasta con forza l’egemonia di Mediobanca. Nel 1985 Schimberni fa una scalata su Bi-Invest e così entra in Fondiaria. L’anno dopo decide di scalare direttamente quest’ultima. Una scelta traumatica, negli equilibri di un assetto economico in cui le regole del gioco e del potere sono sempre state definite sull’asse Milano (Mediobanca)-Torino (Fiat), più Milano che Torino. È allora che l’Avvocato Agnelli, quasi sia stata commessa una empietà sacrilega, pronuncia la celebre battuta «Bi-Invest humanum, Fondiaria diabolicum».

Fra signori del denaro e delle industrie e manager convinti di potere comandare sui padroni, in questo crocevia affollato spunta anche la maschera corrucciata e irriverente di Raul Gardini che, alla testa della famiglia Ferruzzi, scala nel 1986 la Montedison. Nel dicembre del 1989 i Ferruzzi stringono un accordo con la Gaic di Camillo De Benedetti a cui cedono il 50,9% di Fondiaria. In realtà sono soci alla pari, dato che a monte costituiscono una holding di cui ciascuno dei soci controlla il 50 per cento. È di quell’anno l’operazione Enimont. E, poi, viene giù tutto: tangentopoli, il pentapartito dissolto, lo sparo di Gardini, il sacchetto di plastica in testa a Gabriele Cagliari (presidente dell’Eni), i Ferruzzi in rovina.

Fondiaria resta in Ferfin, la finanziaria della famiglia messa sotto tutela nel 1993 dalle banche che, tre anni dopo, assume il nome di Compart, in cui Mediobanca ha il 15 per cento.

Compart si fonde con Montedison nel 2000. Il 23 giugno di quell’anno muore Enrico Cuccia. Nel 2001 Fiat e Edf progettano l’Opa. Maranghi, successore di Cuccia, non è d’accordo. Non vuole che Montedison finisca ai francesi. Teme lo spezzatino. Crede che vada conservata la fisionomia organica che, fra diverse contraddizioni e alcune sconfitte, ha delineato il fondatore di Mediobanca. Si crea un’altra spaccatura dentro al capitalismo italiano. L’egemonia psicologica e strategica riconosciuta a Cuccia non si duplica in maniera fedele con Maranghi. Che, però, in questo caso trova una soluzione. Anche se è una soluzione rapida. Nell’aria già c’era un disegno industriale di integrazione fra la Fondiaria e la Sai dei Ligresti. Soltanto che, in questo caso, Maranghi non riesce fino in fondo a rispettare il dettato cucciano "dell’indipendenza" dell’impresa: indipendenza in senso manageriale, con la compagnia gestita da manager, non da famiglie. Il paradigma perseguito per una vita da Cuccia e nella cui bontà crede lo stesso Maranghi. Qui bisogna fare in fretta. Con una operazione ad elastico Fondiaria, Milano Assicurazioni e Liguria finiscono all’ingegner Ligresti. Uomo di fiducia di Mediobanca, rispettato e stimato dallo stesso Cuccia. Ma dominus assoluto, anche nella gestione, delle aziende di sua proprietà.

Un effetto paradossale, dunque. Però va bene così. L’importante è che Fondiaria resti dentro a un disegno cucciano e maranghiano che le vicende successive faranno gradualmente trascolorare, fino all’epilogo pieno di incognite di oggi.