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 2011  marzo 05 Sabato calendario

Il «folle» che inventò l’arte contemporanea - Dubuffet a Lucca? In questa piccola città, le­gata al suo passato, sembra strano trovare uno tra i più rivoluzio­nari artisti del XX seco­lo

Il «folle» che inventò l’arte contemporanea - Dubuffet a Lucca? In questa piccola città, le­gata al suo passato, sembra strano trovare uno tra i più rivoluzio­nari artisti del XX seco­lo. Invece, sulla facciata di una presti­giosa dimora, Palazzo Boccella, detto anche «alla Fratta», nel cuore di Luc­ca, vicino al Fosso e al museo di Villa Guinigi, spicca uno stendardo con scritto «Jean Dubuffet e l’Italia» e il lo­go del museo, Lu.c.c.a (Lucca Center of Contemporary Art). Il nuovo museo ha un interno avve­­niristico organizzato nei cinque piani del palazzo, che combina pietre e blocchi delle mura medievali, affre­schi cinquecenteschi con un allesti­mento moderno, fornito di otto sale espositive, caffetteria, bookshop, sala di lettura e di conversazione, laborato­rio per bambini e altro. L’anima di tut­to è un oculista, Angelo Parpinelli, che ha deciso di trasformare la pro­pria dimora in un museo, trasferendo­si con la famiglia nelle vicinanze. Tre­vigiano, con radici lucchesi e il pallino dell’arte contemporanea, ha aperto le porte del suo centro ad artisti scono­sciuti o famosi come Man Ray o Du­buffet. «Qui - dice orgoglioso - si può venire a vedere una mostra d’arte, prendere un tè, leggere, partecipare a dibattiti».Insomma,l’intento è far co­noscere l’arte contemporanea a chi ne sia interessato. E Dubuffet, l’artista francese, vissu­to dal 1901 e il 1985, del contempora­neo è il «fondatore». Scopritore del­­l’Art Brut, l’arte dei folli, dell’informa­le, creatore di cicli pittorici di rottura con la tradizione nei temi e nei mate­riali. Ossessionato dalla negazione della cultura, ancora più dei dadaisti e dei futuristi, con una filosofia persona­le e opere originali fatte con materia povera, terra, sabbia, chiodi, ali di far­falla, vegetali. La mostra, patrocinata da MIBAC, Ministero degli Affari Esteri, Camera dei Deputati, Senato della Repubbli­ca e altri enti, è in collaborazione con la Fondation Dubuffet di Parigi. Cura­ta da Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, ha nel comitato scientifico esperti come Lorenza Trucchi ed Ezio Gribaudo, che hanno conosciuto di persona l’artista.Fra le 53 opere espo­ste, alcune inedite per l’Italia, ci sono oli su tela, inchiostri di china, pastelli, gouache, tecniche miste, dagli anni Quaranta agli Ottanta. Opere che ri­percorrono l’attività tenendo presen­ti i rapporti con critici, storici e galleri­sti italiani. Dubuffet arriva tardi al mestiere di pittore, a 41 anni, dopo aver tentato con l’odiata Académie Julian di Parigi e passando per altri lavori. Ma una co­sa ha chiara: la ricerca di un’arte anti­tradizionale, che elimini ogni traccia di cultura precedente.Un’arte che tor­ni alla materia e alle forme primarie. I primi dipinti, come Le buveur del 1924 sono ancora figurativi,ispirati al­l’ambiente parigino d’avanguardia. Ma nel corso degli anni Quaranta, do­po alcune visite a ospedali psichiatrici in Svizzera, le forme diventano infanti­l­i e istintive, dando vita all’Art Brut.Co­mi­ncia una ricerca esasperata tenden­te a dissolvere le forme in materia, che dura sino a metà anni Sessanta. Sono quelli in cui l’artista conosce il galleri­sta veneziano Carlo Cardazzo, che gli organizza nel 1958 la prima mostra ita­liana alla galleria «Il Naviglio» di Mila­no. Undici dipinti, realizzati fra il 1951 e il 1957, tra i quali Les fiancés del 1955 e Pain homogène texturologie XLI , del 1958,oggi esposti.L’incontro con Car­dazzo permette la conoscenza di Du­b­uffet nel nostro Paese e apre la strada al collezionismo degli Juker e dei Ca­vellini. Nel 1959 Paolo Marinotti presenta a Palazzo Grassi di Venezia quattro di­pinti del pittore realizzati nel 1957, le­gati alle esperienze «botaniche»,men­tre nel 1964 ci sarà la grande stagione veneziana dell’artista:la presentazio­ne in anteprima del ciclo dell’ Hour­loupe , con la loro materia pittorica fra­zionatissima come una scrittura in movimento, e dei Phénomènes , serie di litografie che ritornano a forme co­lorate, di cui sono adesso presentati album, gouache e, inedito per l’Italia, l’olio su tela con Le bariole Mariole .La mostra di Palazzo Grassi era stata pre­sentata da Renato Barilli, che aveva co­nosciuto l’artista a Parigi nei tardi an­ni Cinquanta e lo aveva presentato nel 1961 a Lorenza Trucchi che ne sa­re­bbe diventata studiosa appassiona­ta.