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 2011  marzo 05 Sabato calendario

Aprile ’44, la Liberazione di Simenon - Nell’aprile del 1944 Georges Simenon mise la parola fine a un libro strano, una dichiarazione d’intenti quasi, op­pure una sorta di manifesto per gli anni a venire: i suoi, naturalmente, perché di quelli degli altri non si era mai interessato

Aprile ’44, la Liberazione di Simenon - Nell’aprile del 1944 Georges Simenon mise la parola fine a un libro strano, una dichiarazione d’intenti quasi, op­pure una sorta di manifesto per gli anni a venire: i suoi, naturalmente, perché di quelli degli altri non si era mai interessato. La Seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca non avevano portato gran­di­cambiamenti al ritmo del suo la­voro: sette inchieste di Maigret, una dozzina di romanzi, erano lì a testimoniarlo, ma era il clima a es­sere completamente mutato. Co­me molti scrittori, Simenon aveva continuato a pubblicare, accettan­do così l’autorità nazista nel cam­po dell’editoria, aveva fatto parte di giurie letterarie, venduto i diritti di molte sue opere alla Continen­tal, la casa di produzione tedesca che aveva monopolizzato la cine­matografia francese, partecipato a qualche cena ufficiale, frequenta­to confrères più entusiasti di lui nel loro fraternizzare con l’occupan­te... E poi c’era il problema rappre­sentato dal fratello minore, Chri­stian, che in Belgio era stato un membro del Rexismo, il movimen­to fascista che aveva abbracciato la fortuna prima, il disastro poi, di Mussolini e di Hitler. Un pomeriggio, un gruppo di partigiani si era presentato minac­c­ioso nella casa in Vandea di Geor­ges. Boule, la fedele domestica e amante,aveva detto che non c’era e lui, nascosto dietro una siepe del giardino, quella sera stessa aveva fatto fagotto, nascondendosi per un paio di giorni in un granaio. Era­no tempi terribili e la giustizia viag­giava nella canna dei mitra. Sime­non non era stato un «collaborazio­nista », se non come quella stra­grande maggioranza di francesi al­le prese con un governo di Vichy, legittimo, ma ostaggio dei tede­schi, una zona occupata e un eser­c­ito straniero sul suolo nazionale... Asociale, anarchico e individuali­sta, il patriottismo gli sembrava una stupidaggine, il comunismo un’assurdità e se avesse dovuto combattere per qualcosa o per qualcuno, sarebbe stato soltanto per sé e i suoi: se l’umanità voleva scannarsi, non si sarebbe immi­schiato. Non era utilizzabile, in­somma, né pro né contro: ma ades­so che la guerra era alla fine e co­minciavano le epurazioni, non es­sersi schierato era un lusso, cioè una colpa, di cui qualcuno avreb­be potuto presentargli il conto. Se questo era il clima, come dire, pubblico, non è che sul versante privato le cose andassero meglio. Sempre in quella primavera del ’44 qualcosa si era incrinato nel perfetto equilibrio domestico di Si­menon. Per la prima volta Tigy, la moglie, aveva cercato di eliminare dall’orizzonte familiare la domesti­ca- amante, quella Boule che da vent’anni condivideva con lei gli appetiti sessuali di lui. Quel giorno di aprile Tigy li aveva colti sul fatto e aveva chiesto che «quella don­na » venisse messa alla porta... «Quella donna» aveva replicato lui, «per vent’anni era stata consi­derata a tutti gli effetti un membro della famiglia» e poi, si contavano a centinaia le sue infedeltà di mari­to... Di che cosa la moglie pretende­va ora lamentarsi? Ecco, quel libro «strano» di cui parlavano all’inizio esce allora: il mondo esterno e il mondo interno minacciano, come non gli era mai accaduto prima, il suo mondo inti­mo, ma non è ancora nato chi lo ter­rà sotto scacco. La fuga del signor Monde (Adelphi, pagg. 154, euro 17), scriverà ad André Gide, «mi dà la netta impressione che si sia con­cluso un determinato periodo del­la mia vita e stia per cominciarne un altro». E ancora, qualche anno dopo:«Per vent’anni ho cercatodi evitare tutto ciò che per caso- figli, malattie, scandali eccetera - pote­va compromettere la pace del mio ménage. Forse è questo che ha da­to alle mie opere quel tono sordo che risuona ovunque, e quella no­ta di fredda e lucida disperazione che credo di aver reso particolar­mente evidente in questo libro». La fuga del signor Monde racconta la storia di un uomo intrappolato dal matrimonio e da un certo mo­do di vivere, preoccupato dal pas­sare degli anni, incapace di stabili­re un rapporto d’affetto con i figli, che pure ama. Sposatosi due volte, la prima moglie era una ninfoma­ne, la seconda si è rivelata frigida: ma avidità, furbizia, volontà di do­minio le ha accomunate nella di­versità. Alla fine, il signor Monde troverà la salvezza nella fuga, tre mesi in cui scompare di casa e pro­va a osservare e a osservarsi dal di fuori. Quando ritornerà, i suoi ami­ci resteranno impressionati «da quest’uomo che non era più perse­guitato dai fantasmi, non appariva più ombroso e vi guardava negli oc­chi con fredda serenità». Monde, insomma, non è altri che Simenon,stretto fra l’evasione dalla vita e la prigione della vita. Di lì a un anno, lascerà la Francia per gli Stati Uniti, dovrà sacrificare Boule, ma poi si prenderà la sua ri­vincita sacrificando Tigy... È fuggi­to in un altro continente, ricreerà con nuove persone vecchie abitu­dini. È sempre se stesso, ma è an­che un altro se stesso, eterno clo­chard che ha paura di restare da so­lo sotto un ponte.