Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 05 Sabato calendario

Falcone e Borsellino nei miei Vespri siciliani - Celebrazione o riflessione? Il problema dei 150 anni dell’Unità è tutto qui

Falcone e Borsellino nei miei Vespri siciliani - Celebrazione o riflessione? Il problema dei 150 anni dell’Unità è tutto qui. Anche nel melodramma, che pure ha fatto l’Italia (e viceversa). Il Regio di Torino ha scelto Vespri siciliani di Verdi, simbolo del Risorgimento dell’Italia ma anche del teatro, che appunto con i Vespri riaprì nel ‘73. Ma ha voluto, appunto, una riflessione, non una celebrazione, chiamando a dare una veste contemporanea all’opera il regista Davide Livermore. Dirige Gianandrea Noseda, i cantanti principali sono Sondra Radvanovsky, Gregory Kunde, Franco Vassallo e Ildar Abdrazakov. Doppia «prima»: il 16 per gli abbonati, il 18 alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Livermore, perché Verdi in abiti contemporanei? «Perché Verdi scriveva per i contemporanei. Solo che non poteva mettere in scena, poniamo, le Cinque giornate di Milano dell’800 ma i Vespri siciliani del 200. Oggi ovviamente il discorso non cambia: giochiamo di sponda con il passato per parlare al presente. E riflettere sull’Italia di ieri e di oggi. Perché è questo che Verdi fa. Tanto più che i Vespri non sono affatto un’opera "patriottica" tout court. Non è un’opera manichea, i buoni italiani di qui, i cattivi francesi di là». Già, ma oggi fra i nostri tanti guai almeno l’oppressione straniera non c’è. Ci opprimiamo benissimo da soli. «L’invasione straniera, no. L’invasione di un potere mediatico che toglie ogni spazio di partecipazione, sì. Verdi chiamava gli italiani a essere cittadini e non sudditi. Oggi li chiamerebbe a essere cittadini e non telespettatori». Insomma, addosso al solito Berlusconi... «Ma no, per carità. La cronaca non m’interessa. Cerchiamo di volare un po’ più alto. Prendiamo il vespro, la rivolta che conclude l’opera e le dà il titolo. Benché duri solo 42 secondi, è una scena capitale. Io l’ho ambientata in un Parlamento dove irrompe il popolo-coro togliendosi la maschera che portava sulla faccia. Verdi ci chiama a essere cittadini, nel Duemila come nell’800». Perché ambientare il secondo atto sul luogo della strage di Capaci? «Perché Procida entra e canta "O tu Palermo, terra adorata" che è una grande preghiera laica. E io ho scelto un luogo sacro della nostra storia. La Sicilia, lo sappiamo, è il paradigma dell’Italia. Ma la Sicilia è il posto dove è stato versato il sangue dei suoi figli migliori, non il fico d’India e la cassata». Procida, poi, si rivela una specie di terrorista di pochi scrupoli... «Certo. Ma la grandezza dei Vespri e di Verdi è anche quella di mettere in scena un personaggio che rivendica i più alti ideali civili e, contemporaneamente, si comporta da bandito. Lo ripeto: non è un’opera celebrativa. Oggi festeggiamo il Risorgimento, ma riflettiamo anche sulle sue contraddizioni. Si diventa grandi quando dei padri si cominciano a vedere gli errori, oltre che la grandezza». Altri riferimenti alla Sicilia tragica degli ultimi anni? «Certamente il discorso di Elena ai siciliani. E’ quello della vedova di Schifani, il caposcorta di Falcone, ai funerali di suo marito nel Duomo di Palermo, quando scoppiarono il dolore e la rabbia degli onesti contro la violenza mafiosa e l’inefficienza, o peggio, dello Stato. Verdi non ha inventato nulla: semplicemente, ci racconta per come siamo, italiani di ieri, di oggi e, credo, anche di domani». Come crede che la prenderà, il pubblico dell’opera? «Non lo so. Forse chi è affezionato all’alabarda sarà turbato. C’è chi si sforzerà di capire e chi no, chi sarà d’accordo e chi no. Io posso solo garantire la mia serietà. Non voglio provocare, non m’interessa dare scandalo. Stiamo celebrando l’Italia con l’arte più grande che l’Italia abbia creato. In teatro c’è una bella atmosfera. Quando nel laboratorio di scenografia si davano gli ultimi ritocchi a quelle due auto sventrate l’emozione era palpabile». La primadonna è canadese, il tenore americano e il basso russo. Come si fa a spiegare loro tutto questo? «Verdi si spiega benissimo da solo. E poi per quella scena è bastato ricordare loro il "ground zero". Uno dei tanti "ground zero" della nostra storia».