La Stampa 5/3/2011, 5 marzo 2011
Donne al comando? L’Italia delle aziende è ultima in Europa - Più si sale in alto e più il «tetto di cristallo» diventa spesso
Donne al comando? L’Italia delle aziende è ultima in Europa - Più si sale in alto e più il «tetto di cristallo» diventa spesso. Più la società è importante e più la quota di consiglieri d’amministrazione «rosa» si diluisce fin quasi a sbiadire. Basta scorrere gli elenchi dei consiglieri dei primi dieci titoli quotati a Piazza Affari per scoprire che su 147 seggiole appena 8 sono occupate da donne. Poco più del 5% del totale. Se si allarga lo sguardo all’intero listino la situazione migliora un poco, ma resta pur sempre imbarazzante nel confronto con altri Paesi: siamo al 7,6%, ovvero 332 consigliere su un totale di 4014. Ventinovesimi in Europa su 33 paesi censiti. Nei giganti pubblici, all’Eni come all’Enel, su nove posti di consigliere d’amministrazione la presenza femminile è pari a zero. Idem in Telecom (15 posti in cda, 15 uomini), Fiat (15 uomini su 15 nella spa e 9 su 9 in Fiat Industrial), Tenaris (10 su 10). Saipem e Snam Rete Gas concedono appena un posto su nove: l’imprenditrice Anna Maria Artoni nel board della società di impiantistica dell’Eni, e l’ingegnere elettronico Elisabetta Olivieri in quello della società che gestisce la rete nazionale di distribuzione del metano. Solo quando le società moltiplicano le poltrone si apre qualche misero spazio: nel consiglio di Unicredit su 24 posti, due sono occupati da donne. Si tratta dell’economista Lucrezia Reichlin e dell’avvocato Marianna Li Calzi. Due le donne, ma su 28 posti (tra consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione), anche nei board di Intesa San Paolo: il revisore contabile Rosalba Casiraghi e l’economista Elsa Fornero, che ricopre l’incarico di vicepresidente del Consiglio di sorveglianza. Due donne, in un consiglio di 19, anche alle Assicurazioni Generali: si tratta della spagnola Ana Felicia Botin, presidente di Banesto, e dell’economista Paola Sapienza. Di qui ad un anno, posto che la legge sulle «quote rosa» verrà approvata a giorni in via definitiva ed avrà effetto 12 mesi dopo, la situazione cambierà radicalmente. Non si passerà di colpo al 30% di donne nei cda, come prevedeva la proposta originale, ma si procederà in maniera graduale: in Commissione finanze del Senato starebbe maturando un accordo per salire al 20% tra un anno (il governo proponeva il 10%) ed al 30% col mandato successivo, tra 4 anni. «Sono fiduciosa - spiega Lella Golfo, presidente della Fondazione Belisario e prima firmataria del disegno di legge che introduce le quote rosa -. Una legge epocale come questa richiede certamente una riflessione approfondita ma sono convinta che già la prossima settimana si troverà l’accordo definitivo». Ieri la Golfo ha riunito oltre trenta associazioni femminili, dalle Donne di Bankitalia a quelle di Federmanager, dalle Donne Giuriste alle rappresentanti di Progetto Gemma di Intesa Sanpaolo. «E’ il segno che una lobby femminile esiste - dice la Golfo -. Anche in questo caso è bastato un semplice passa-parola e in pochissimi giorni hanno risposto all’appello in tantissime». Una volta approvata la legge il primo grande gruppo che dovrà adeguarsi sarà Mediobanca, dove oggi le donne sono 2 su 23 e dovranno diventare subito 5 e poi 8, poi toccherà alla miriade di società controllate dagli enti locali. «Quattromila imprese dove le donne andranno a occupare 1900 posti:una vera rivoluzione» spiega la Golfo. Poi sarà la volta dei grandi gruppi. «Certo che se nelleprossime settimane volessero tutti dare un segnale ed inserire qualche donna senza aspettare la legge, sarebbe bello. Sarei felicissima». Il ministro Tremonti ed i signori della grande finanza sono avvisati. PAOLO BARONI *** Ma il lavoro gratis è tutto loro - Le donne sono il pilastro della società contemporanea, ripetono economisti e sociologi. Lo conferma il nuovo rapporto sulla condizione femminile, elaborato dall’amministrazione Obama, con buona pace dell’altra confusa metà del cielo. Ma qual è lo specifico peso muliebre nel mondo esigente che, oltre al prodotto interno lordo, pretende di calcolare la propria felicità interna lorda, la misura della qualità della vita? Secondo l’ultimo studio dell’Ocse, l’organizzazione dei paesi più sviluppati il contributo rosa vale doppio perché oltre al lavoro vero e proprio comprende quello non retribuito, qull’onere della routine quotidiana della cui gran parte si sobbarcano per l’appunto le donne. Le corse a scuola Prendiamo, per esempio, l’educazione dei figli. Nei 29 paesi esaminati dall’Ocse, dall’Australia alla Corea e dall’Italia al Sudafrica, le mamme trascorrono con la prole una media di un’ora e 42 minuti al giorno contro i 40 minuti dei papà. La statistica è una scienza fredda, non dice nulla sulla soddisfazione dei piccoli. E suggerisce appena che le famiglie più alfabetizzate dedichino maggior tempo ai bambini considerandolo, evidentemente, un investimento. Ma è un fatto che a parità di responsabilità parentali le genitrici, lavoratrici o meno, siano due volte più presenti in casa, all’uscita da scuola, in piscina o al corso di tennis, dei rispettivi partner. Prigioniere dei fornelli Il lavoro domestico, alias non retribuito, è una fetta rilevante dell’attività economica di un paese, insiste il premio Nobel Joseph Stiglitz. In buona parte del mondo conosciuto corrisponde a una percentuale compresa tra il 30 e il 50% (in Italia è circa il 38%). L’importante è distinguere tra l’immergersi fisico nelle polveri dell’appartamento bisognoso di pulizie di primavera e l’immergersi metaforico nella lettura di un avvincente romanzo, vale a dire tra ciò che qualcuno sarebbe disposto a fare al posto nostro in cambio di un compenso e il vero e proprio tempo libero. Calcola l’Ocse che 3,4 delle ventiquattro ore a disposizione quotidiana dell’uomo contemporaneo se ne vadano in lavoro non pagato, il 14% del totale. Qualcuno strafà come il Messico, che sfiora le 4,2 ore di «volontariato domestico» compensando la pragmatica Cina, ferma a quota 2. Ma, stipendiato o meno, un terzo della giornata viene ineluttabilmente impiegato in modo produttivo e declinato soprattutto al femminile. Le donne emancipate del nuovo millennio macinano corsi di laurea, investono in borsa, scalano carriere tradizionalmente maschili come fossero pareti di roccia rampinate, ma, una volta rincasate, cucinano, crescono i figli, rassettano la casa e accudiscono le piante quasi che la giornata cominciasse allora. Ad eccezione del bricolage, unica attività non retribuita ancora appannaggio degli uomini, mogli e madri lavorano in media 2 ore e 28 minuti più degli uomini. Lo scarto sale 4, 5 ore in India o in Turchia e scende a 2 in Italia ma resta netto. Perfino in Paesi avanzati come la Danimarca, dove la quantità di lavoro maschile non pagato è maggiore, l’eguaglianza resta ancora una chimera. Guardate alla voce cucina, tralasciando il fatto che, talvolta, destreggiarsi tra le padelle possa essere un piacevole hobby. Preparare la cena per sé o per la propria famiglia non prevede un compenso. Ebbene, l’82% delle signore lo fa praticamente tutti i giorni contro il 44% degli uomini e, di regola, resta ai fornelli quattro volte tanto. Certamente l’impegno varia con l’età almeno quanto con il genere. I 110 minuti al giorno di lavoronon pagato degli under 25 diventano 225 tra i 25 e i 64 anni per balzare a 241 minuti dopo i 65. La banca del tempo è una forma d’investimento postmoderno ma anche un palliativo alla solitudine del pensionato. La pensionata ha meno bisogno di riempire il tempo. FRANCESCA PACI