FEDERICO GEREMICCA, LA Stampa 5/3/2011, 5 marzo 2011
DUE VOLTE CLANDESTINO
È la faccia più mortificante di questa fuga senza fine perché è la faccia di un bambino: uno delle migliaia di bambini che porteranno per la vita addosso i segni della disgrazia seguita alla rivolta del Maghreb. Ma è anche una favola, e pur al centro di un turbine di insopportabili brutture, noi vorremmo raccontarla come una favola.
Questa è la storia di Khaled, il doppio clandestino. Ai soccorritori del Centro di identificazione di Lampedusa, ieri, ha raccontato di esser nato nel 1995: 16 anni, dunque, non ancora festeggiati. Invece ne avrà 12 o 13, questo ragazzino dai capelli scuri e mossi, gli occhi nerissimi, magro e bello in ogni lineamento. È arrivato a Lampedusa l’altro ieri, a bordo di una vecchia barca lunga 8 metri. Erano in trentadue, stipati e sbattuti dal mare mosso. Per cinque o sei ore, Khaled ha viaggiato sottobordo, in un spazio angusto, di fianco al motore, seminascosto tra vecchie cime bagnate. S’era imbarcato di nascosto dai suoi stessi compagni di fuga: e s’è mostrato loro, uscendo dal suo rifugio, solo quando ha pensato che era passato molto tempo, e che non avrebbero mai invertito la rotta per riportarlo a casa. Allora è sbucato fuori, infreddolito e affamato.
Questa storia ce la racconta, con emozione inevitabile, un giovane eritreo che è qui a Lampedusa per «Save the children»: parla lui con i migranti, raccoglie le loro storie, spiega come andranno da quel momento in poi le cose. Ha sentito da Khaled quel che ci racconta: storia vera perché altri migranti l’hanno confermata. E perché ci crede lui, Tarek, fuggiasco anni fa dall’Eritrea, abbordato una prima volta in mare e riportato nelle galere libiche, ma la seconda volta no, la seconda volta ce l’ha fatta. E ora racconta la storia di Khaled come fosse la sua. O come fosse una favola.
Khaled viveva sull’isola di Kerkennah, Tunisia, ha un padre pescatore e una madre che pochi anni dopo averlo messo al mondo ha perso la ragione. Il padre pescatore si risposa, ma la matrigna non ama affatto Khaled, che vorrebbe continuare ad andare a scuola come i compagni, e questo sembra una perdita di tempo in una famiglia di pescatori. Sembra soprattutto alla matrigna. Che convince il marito a portare Khaled in mare, che così aiuta in barca, impara il mestiere e la smette con la storia della scuola.
La vita del ragazzino cambia, niente più libri ma pesanti reti da pesca, da gettare e ritirare tante volte al giorno. Tarek racconta che la prima cosa che lo ha colpito di Khaled, quando lo ha visto al Centro, sono state le mani gonfie, rosse e rovinate.
Il ragazzino vorrebbe continuare ad andare a scuola: la mattina guarda i compagni e la faccia si fa triste. Vorrebbe anche una mamma, forse, invece che una matrigna tanto cattiva. Nelle favole tante cose succedono per caso: e anche in quella di Khaled è proprio per caso che una gli fa battere il cuore e venire un’idea. Origliando i discorsi di due pescatori, scopre che si sta preparando una barca per andare in Italia. L’Italia, quel paese ricco e bello che ogni tanto vede in televisione. Khaled vuole studiare, vuole scappare, forse vuole la mamma e non la matrigna: comunque la vita che lo attende a Kerkennah non la vuole più fare. Bisogna fuggire, ma ci vuole un piano per fuggire. Prima di tutto sapere quando si parte e qual è la barca.
Khaled origlia ancora, sull’isola ormai della fuga sanno in molti: e scopre facilmente quel che gli serve. Perché nel suo piano una cosa è chiara: poiché sulla barca della fuga ci saranno pescatori che conoscono il padre, lui sulla barca deve salirci di nascosto. Doppiamente clandestino, appunto. Ci si intrufola una prima volta di giorno, per ispezionarla e cercare un posto buono. Ci torna una notte, poche ore prima della partenza. Si rannicchia nel nascondiglio scelto. È buio, bagnato, freddo. Quando si accendono i motori è un rumore d’inferno. Poi il fumo, la puzza e le cime che gli inzuppano i vestiti.
Khaled batte i denti, ma il tempo non passa mai. Deve aspettare che la barca si allontani molto dall’isola, deve essere sicuro di essere così lontano che a quelli non passerà nemmeno per la testa di invertire la rotta, tornare indietro e riconsegnarlo al padre. Perde un po’ l’idea del tempo, ma poi decide di venir fuori, gelato, spaventato, affamato. I migranti sono stupefatti, qualcuno ride, qualcun altro si rabbuia. Ma non succede quello che Khaled temeva, nessuno lo rimprovera: gli passano un maglione perché si cambi e si riscaldi un po’. Dopo qualche ora ancorapassata a battere i denti e a dormire, l’Italia è in vista: e qui l’Italia si chiama Lampedusa.
«La prima cosa che ha fatto quando lo abbiamo portato al centro è stato telefonare al padre per dirgli che era vivo ma non sarebbe tornato più - racconta Tarek, mentre un vento leggero gli agita i foltissimi capelli, inconfondibili qui sull’Isola -. È minorenne, non può essere espulso: andrà in una comunità, o forse in una casa famiglia. È un ragazzino furbo e straordinariamente intelligente, vuole imparare l’italiano e lavorare qui».
Khaled parte stamane con la vecchia e lenta nave che unisce Lampedusa alla Sicilia. Ce l’ha fatta, e al primo colpo. Perché le favole, per esser belle, devono avere un lieto fine: proprio come fu ed è per Tarek, «immigrato clandestino» prima di lui...