Goffredo Buccini, Corriere della Sera 05/03/2011, 5 marzo 2011
«MALEDETTI, PER NOI E’ UNA TRAGEDIA». LA SINDROME DELL’ARMA FERITA —
Nell’anticamera ci sono i disegni e i temi dei bambini, quinta B della «Don Gioacchino Rey» : Flavia, Davide, Andrea e Rosi scrivono «carabinieri amici in più» , Francesca ha scarabocchiato un enorme cappello d’alta uniforme alla Pinocchio con cui ripararsi dalla pioggia come sotto un ombrello, e ha scritto un «grazie» bello grande. Poi, solo due passi più in là, ecco muri giallognoli, porte e bocche blindate, e quell’accusa infamante. «Questa per noi è una tragedia» , dice con franchezza Maurizio Detalmo Mezzavilla, il comandante provinciale. Eppure dentro il teatro di questa tragedia, appena oltre la soglia d’una sindrome che rischia di attanagliare l’Arma, inciampi nei colori e nel calore degli alunni del Quadraro, insomma nell’affetto della Roma popolana, periferia sud. La caserma di via Cincinnato apre ogni anno alle visite della scuola elementare intitolata a un prete coraggioso, eroe della lotta antinazista. «Don Rey era uno che aiutava la gente di qua attorno» , spiega con semplicità il luogotenente che da dodici anni comanda la stazione, Dino Formato, un beneventano mite e dalla faccia perbene. «È stato un fulmine a ciel sereno» , dice sottovoce qualche militare, lontano dai taccuini. Lui rispetta fino in fondo la consegna del silenzio sulla storiaccia che, la notte tra il 23 e il 24 febbraio, ha messo nei guai tre dei suoi uomini, ora accusati di violenza carnale. Oltre il corridoio c’è la mensa, sotto c’è la camera di sicurezza: quella notte, comunque sia andata, tutto è successo lì, in pochi metri di vergogna. Formato abbassa la testa, cortese ma ostinato, non apre bocca. Ma il silenzio gli sta proprio stretto quando si parla del «suo» Quadraro, quartiere tosto, medaglia d’oro della Resistenza, e ormai da tanto tempo sottobosco di traffici d’ogni tipo, babele di lingue ed etnie, insidiato dalla droga e dai furti (la stazione di via Cincinnato fa in media cento arresti l’anno). «Siamo aperti a tutti, noi, facciamo del nostro meglio» , dicono quindi i carabinieri, maledicendo a labbra serrate i colleghi che li hanno infangati. Su un tavolino, depliant per i vecchietti della zona, quattro pagine di consigli per non sentirsi mai soli, stampate e distribuite dalla caserma. Si fa fatica, qui, a immaginare una scena di sopruso, un corto circuito delle coscienze. Eppure. «C’è grande dolore, sofferenza e, devo dirglielo, anche rabbia» , sospira il colonnello Mezzavilla nel suo ufficio di piazza San Lorenzo in Lucina: «Ho seimila uomini che si spaccano la schiena per accorrere ovunque, dall’incidente stradale alla rapina, migliaia e migliaia di volte al giorno, e questa storia getta discredito su un’istituzione che fa della vicinanza ai cittadini un valore fondamentale» . Mezzavilla si fa portare i dati delle richieste d’intervento a Roma e provincia: 8.114 l’altro ieri, un giorno banale di un lavoro che banale non è mai. È friulano, viene da Messina, è comandante provinciale da ottobre ma ha inquadrato in fretta una città difficile e ha deciso di giocare d’anticipo. Ieri mattina ha diffuso in agenzia un comunicato esplicito: «Fatti gravissimi» . Non si tira indietro. I suoi, doverosamente anonimi, sono in sintonia. Qualcuno, sì, mormora «lei li ha istigati» , ridisegnando il ruolo della vittima con un tratto che susciterà amarezze e polemiche. Ma comunque sia andata, qualunque sarà la ricostruzione della magistratura, non c’è voglia di coprire nessuno. Quella ragazza era una detenuta, nelle loro mani. «Giusto che paghino» . Voci di corridoio, imprecazioni di vecchi marescialli contro quei tre che erano «colleghi capaci» e adesso sono «tre dannati scemi» . Voci, sì: ma è quasi un coro. Bisogna fare un passo indietro per capire. Il pasticciaccio che un anno e mezzo fa ha distrutto la vita e la carriera di Piero Marrazzo è stato una specie di punto di torsione per l’Arma a Roma. Tra poco andranno a processo i quattro carabinieri della caserma Trionfale che avevano messo in piedi una vera banda: girano accuse che vanno dal traffico di cocaina alla ricettazione, dai ricatti ai trans fino all’omicidio del pusher Rino Cafasso. Le malefatte di Nicola Testini e compagni si sono conficcate nell’immaginario come un chiodo cattivo, sono state una specie di perdita collettiva dell’innocenza. «Il caso Marrazzo ci ha fatto drizzare le antenne» , ammette il colonnello Mezzavilla: «Però questa è una faccenda proprio diversa, non si confonda: è un evento del tutto estemporaneo, che poi va valutato nella sua gravità, certo» . Un punto di contatto forse c’è, il peso di una trincea che logora, nelle periferie sempre più dure della Capitale. Le strade attorno a via dei Due Ponti, dove trovarono il cadavere di «Brendona» al centro di un intrigo mai chiarito del tutto, non sono così diverse da queste vie convulse di dolori e di rancori dove l’abusivismo d’un tempo s’è trasformato in villetta familiare da consegnare ai figlioli, dove la caserma è stata trincea anche per il degrado e la devastazione di posti come Casilino 900. Non sono diverse le sfilate di trans poco lontano da via Cincinnato, ad Arco di Travertino. Ai suoi bordi, la periferia si rassomiglia tutta. «I reparti più in prima linea sono proprio le nostre stazioni, aperte 24 ore su 24, esposte al rischio dentro realtà in cui il profilo operativo è molto impegnativo» , dice ancora il colonnello. Trincee, appunto. E in certe trincee il pericolo sta dentro di noi prima ancora che fuori. Non lontano da qui, a Cinecittà, il comando generale ha usato la mano pesantissima un anno fa, quando si scoprì che dalla cassaforte della caserma spariva la droga sequestrata agli spacciatori: per due finiti e rimasti nei guai, furono trasferiti in ventuno. «Lì bisognava capire chi fossero i responsabili, qui i responsabili sono stati individuati subito» , spiega ancora il colonnello. «Noi stiamo a contatto con tutti» , ripetono i suoi al Quadraro. E il pericolo certo sta lì, in questo mischiarsi quotidiano che consuma l’anima. «Se avete bisogno di aiuto chiamate il 112 e i carabinieri arrivano subito» , si legge ancora su un tazebao dei bimbi in anticamera. Capita poi che in certe pieghe di certe storie siano i carabinieri ad avere bisogno della gente. Ma forse questo gli alunni della «Don Rey» lo hanno capito già.
Goffredo Buccini