MAURIZIO FERRARIS , la Repubblica 5/3/2011, 5 marzo 2011
L’IMMAGINAZIONE E’ FINITA
Tra i settori di Eurodisney, oltre quello del vecchio West, quello delle favole e quello delle avventure, ce ne sarebbe anche uno dedicato al futuro. Fatto di astronavi, invenzioni e sogni. Ma mentre il castello della Bella Addormentata conserva il suo smalto e la nave di Capitan Uncino non ha perso tutte le sue attrattive, il paese del futuro è chiuso da tempo per lavori: si sta studiando come "modernizzarlo". La sua ultima versione appariva decrepita, e richiamava un futuro passato, diciamo la Alexanderplatz della Berlino degli ultimi anni della Ddr. Da cosa dipende? Certo, nulla invecchia così rapidamente come il futuro, in un ambiente ad altissima accelerazione tecnologica. Ma perché nemmeno Disney riesce a immaginarsene uno davvero nuovo? Per capirlo conviene incominciare da quell´intreccio programmatico di realtà e immaginazione che è la fantascienza.
Nei film degli anni Ottanta (Flash Gordon, Blade Runner, i sequel di Guerre Stellari, Dune, Terminator, Alien, Robocop) pullulano le astronavi, i nuovi mondi, gli alieni, i cyborg (e non ci si trovava, a pagarlo un milione, un accenno al web, o agli smartphone, che ora colonizzano la nostra immaginazione). Molto cambia nei principali film di fantascienza anni Novanta, Strange Days, L´esercito delle dodici scimmie, Armageddon, eXistenZ, Contact, Gattaca, Matrix. Diminuiscono gli alieni e le astronavi, aumentano le inquietudini millenaristiche e il trasferimento dell´azione in una realtà parallela (è il caso del film di Cronenberg, eXistenZ).
In un film come Gattaca (1997) gli elementi fantascientifici sono ridotti all´osso, e il vero eroe è qualcosa che è già tra noi, nella scienza e nella vita, ossia il patrimonio genetico, che viene considerato un principio di selezione sociale. Soprattutto, quello che fa la sua comparsa è il grande codice dei computer, la sequenza verdastra di 0 e 1 che diventa l´emblema di Matrix, ormai nel 1999. E un film come Avatar, più che fantascientifico, è un racconto al servizio della nuova tecnologia 3D, dunque non immagina mondi possibili, ma ci parla piuttosto del nostro mondo, cioè del mondo che la tecnica ci ha consegnato. Così pure, in letteratura abbiamo lo steampunk e trionfa il fantasy, che propongono passati alternativi, anacronistici o ucronistici. Piuttosto che con un futuro in divenire abbiamo un andirivieni di viaggi nel tempo, una sindrome "paleofuturista" l´ha definita il giornalista americano Matt Novak.
Dobbiamo concluderne, come si diceva qualche decennio fa, che l´arido mondo della tecnica ha prosciugato l´immaginazione riducendola a pura previsione? No, è vero esattamente il contrario. Non solo la tecnica ha realizzato una quantità enorme di immaginazioni, ma, ancor più, sembra aver anticipato (e dunque, in questo senso, frustrato) ogni immaginazione possibile. Declassato da "avvenire" - cioè da Promessa - a semplice dimensione temporale, il futuro si conserva nei "future", che spesso sono titoli spazzatura, e si riduce infine a next, quello che viene dopo. I sogni dei visionari sembrano sopravanzati di un bel po´ dai sogni dell´informatica, dalla lussureggiante giungla di mondi possibili che ci viene offerta dai nostri smartphone, dai nostri tablet e dagli effetti speciali dei videogame. Si dirà che la situazione non è nuova: "ahimè la carne è triste, ho letto tutti i libri", scriveva Verlaine, e Nietzsche, più o meno nello stesso periodo, si lamentava che l´eccesso di conoscenza storica aveva trasformato gli uomini in "compendi incarnati", rendendoli incapaci di immaginare il nuovo. Ma qui c´è molto di più. Non si tratta di avere ruminato tutto il passato, di avere alle proprie spalle una enorme biblioteca. Piuttosto, si direbbe che nelle possibilità offerte dalle application si esaurisce anche tutta la sfera dell´immaginabile. Freud aveva detto che l´umanità aveva subito tre grandi ferite narcisistiche. La prima è stata la scoperta che la terra è tutt´altro che il centro dell´universo. La seconda è che l´uomo discende dalla scimmia. E la terza è che la coscienza è solo un´isola che emerge sul mare dell´inconscio. Forse si dovrebbe aggiungerne una quarta: non solo abbiamo delle macchine capaci di pensare ma, quello che in fondo è più umiliante, abbiamo delle macchine capaci di immaginare più e meglio di noi.
Che fare? Il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, racconta che tra gli studenti sono stati creati dei gruppi di "intelligenze pure" molto richieste dalle aziende automobilistiche che hanno bisogno di "menti vergini" (capaci di sviluppare progetti innovativi ma prive di particolari competenze) da inserire nei gruppi chiamati a progettare l´auto del futuro. Questo perché nei centri di ricerca sono convinti (un po´ come Verlaine) che tutto sia stato ormai immaginato, e spesso anche realizzato a livello di prototipo. E dunque serve, in qualche modo, ripartire da zero.
Condivido appieno l´esigenza, ma non sono affatto sicuro che possano esistere, da qualche parte del mondo, intelligenze pure, menti vergini, e immaginazioni radicalmente creative. Piuttosto, ci sono delle menti con altre competenze, altre memorie, e dunque altre immaginazioni, rispetto a quelle di chi professionalmente progetta, ad esempio, automobili. A mio parere, per rilanciare l´immaginazione, per renderla davvero produttiva, si tratta, piuttosto che di fare tabula rasa, di cambiare enciclopedia, per esempio di far progettare automobili da storici dell´arte o da archivisti, a gente che abbia in memoria altri cliché, e che sia capace di sorprendersi e di sorprendere. Non è questione di ripartire da zero, ma, come nel film di Troisi, di ricominciare da tre, partire da un´altra topica e da un´altra immaginazione.
Da questo punto di vista, sono proprio le nostre application che ci possono insegnare qualcosa: l´enorme creatività, l´enorme produttività del mondo digitale nasce essenzialmente dal fatto che abbiamo a che fare con strumenti dotati di una memoria potentissima. In fondo, lo avevamo sempre sospettato: la grande immaginazione è sempre grande memoria, "memoria dilatata e composta" (diceva Vico) che "crea matrimoni illegittimi tra le cose" (come diceva, questa volta, Bacone). Il fatto che i greci considerassero Mnemosyne, la dea della memoria, come la madre di tutte le muse, la dice lunga sui legami che intercorrono tra memoria, immaginazione e creatività. La vera scommessa, per noi, non è quella di fare tabula rasa, tanto è impossibile, quanto piuttosto di imparare a convivere con l´enorme memoria (dunque anche l´enorme immaginazione) dei nostri smartphone senza lasciarci paralizzare, e anzi servendocene. Dopotutto, sarà anche vero che il nostro iPad potrebbe dire, proprio come l´androide di Blade runners, «ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare». Ma resta che si potrebbe sempre obiettare, facendo il verso ad Amleto, che ci sono più cose fra la terra e il cielo di quante ne sognino le application dei nostri telefonini.