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 2011  marzo 05 Sabato calendario

ARRESTATO IL GENERALE DIVJAK IL SERBO CHE AMÒ SARAJEVO

Per i sarajevesi e i bosniaci e per chiunque abbia frequentato quella tragedia, Jovan Divjak è una figura leggendaria. Si può dire di lui come di un eroe di guerra, se questa espressione non togliesse molto alla cordialità sua e all´affetto della sua gente. La sua gente non si definisce per la nazionalità, ma per l´umanità, quella di cui in un tempo felice Sarajevo fu il nido caldo. E lui si definisce così: bosniaco, e umano. Né serbo né croato né musulmano, in quel crogiuolo rovesciato cui è stata degradata la Bosnia dalla furia sciovinista. Divjak è serbo di origini e di nazionalità, e quando la Jugoslavia è andata in pezzi era un alto ufficiale dell´esercito. Decise di restare a Sarajevo, fu considerato un disertore dai serbisti, e il peggiore dei traditori quando prese la decisione di distribuire le armi ai resistenti bosniaci. Non bisogna però pensare a lui come a un transfuga e a un rinnegatore dei suoi padri e madri. Una notte, chiusi in una casa amica, dopo aver mangiato e bevuto come si poteva col coprifuoco e l´inverno in una città assediata, cantammo tutte le canzoni, e alla fine lui cantò bellissime canzoni popolari serbe, di quelle che non avevano nessuna colpa dell´infamia in corso.
Il suo personale valore gli procurò una popolarità così forte da fare ombra ad alcuni dei capi bosniaco-musulmani, nazionalisti a loro volta, che pure del suo impegno si erano tanto avvalsi. Così, dopo essere stato il vicecomandante delle operazioni militari di difesa, fu di fatto emarginato, e diventò il generale che si incontrava dappertutto nella città assediata, e che si prodigava per i suoi concittadini. Già durante la guerra, e dopo la sua fine nel 1995 - se si può chiamarla guerra, e se si può dirla finita - si adoperò specialmente, con l´associazione volontaria intitolata Obrazovanje Gradi BIH (L´istruzione costruisce la Bosnia Herzegovina) a promuovere gli studi degli orfani di guerra e dei ragazzi bisognosi, senza riguardo alcuno alle loro origini "etniche" (e si ricordi che fra i bosniaci musulmani e croati e serbi non c´è alcuna differenza "etnica": caso clamoroso ma non raro di invenzione razzista). Grazie alla sua associazione hanno potuto studiare, dalle scuole primarie all´università, molte centinaia di ragazzi, 120 fra loro rom bosniaci. A Vienna faceva scalo giovedì per venire in Italia, dov´è assiduo, a un convegno bolognese. Sapeva del mandato di cattura emesso contro di lui dal governo serbo, ma non intendeva lasciar limitare la propria libertà da quella provocazione. La notizia del suo arresto è stata uno schiaffo in faccia alla gente di Sarajevo e della Bosnia, e ai tantissimi amici che Divjak si è fatto nel mondo. Il governo serbo che lo accusa di crimini di guerra è quello che aspetta ancora a stanare il boia di Srebrenica, Mladic. Bisogna augurarsi che l´Austria voglia presto cancellare una brutta macchia, e che non voglia spingersi a una decisione spregevole come l´estradizione di Divjak a Belgrado. Lui è un uomo magnifico, e non ha paura di niente. Ma l´offesa che ne verrebbe alla verità, al diritto e alla dirittura sarebbe enorme.