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 2011  marzo 05 Sabato calendario

IL POLITICO CINICO È UN GUAIO MA L’ELETTORE CINICO NO

Cinica, negandosi cioè le chimere utopistiche e le illusioni riguardo alla qualità morale dei leader, la politica si dimensiona a grandezza umana, ma insieme se ne allontana. Cinici, i politici se la ridono sotto i baffi delle frivolezze e degli orpelli retorici come della violenza e delle frottole dell’idealismo altezzoso, che all’inizio incantano ma alla lunga scoraggiano «l’agorà», cioè la piazza democratica. Ma contemporaneamente sono più esposti alla tentazione d’usare cinicamente, conoscendone la magia, gli strumenti della demagogia, imposture e violenza comprese. Al cinico democratico, per il quale il fine non può né deve giustificare i mezzi, fa da contraltare il cinico totalitario, Lenin per esempio, o il suo doppio fascista, che pensa l’esatto contrario. Se il primo, al momento, sembra avere conquistato il mondo, c’è mancato poco che invece lo conquistasse il secondo. È quanto spiega, tra le altre cose, Antonio Funiciello, politologo, collaboratore del gruppo democratico al Senato, in un bel saggio appena uscito: Il politico come cinico (Donzelli, pp. 182, 16,00). Anche solo per capire la politica italiana di questi ultimi mesi, dalla diaspora futurista agli scandali sessuali, dai processi con rito immediato a Berlusconi alle accuse che i berlusconiani muovono alla magistratura, è di gran lunga più utile il saggio di Funiciello che un’intera stagione di dibattiti televisivi e di risse giornalistiche. Storia ed epopea del cinismo, dal trauma originario che lo causò (la morte di Socrate, da cui discesero le predicazioni dei primi filosofi cinici) su su fino ai nostri giorni, Il politico come cinico è un compatto bignamino di storia della modernità e, insieme, di storia della letteratura in chiave politica, dai Dialoghi di Platone ai Promessi sposi, dai poemi omerici a Moby Dick. Nelle sue pagine, come figure dei tarocchi sul tavolino d’una cartomante, convergono a sorpresa, insieme alle immaginette sacre dei grandi cinici del passato, da San Francesco all’Enrico IV di Shakespeare, anche le vite esemplari dei cinici eminenti del tempo presente, a cominciare dal «grande presidente americano Lyndon B. Johnson» (fu lui, Johnson, mentendo agli elettori sudisti sulle proprie intenzioni, a mettere fuorilegge col Civil Rights Act la discriminazione razziale, non Roosevelt o Kennedy). Libro smagato, per moralisti veri, Il politico come cinico è l’esatto contrario, per capirci, del giornalismo borioso e delle lezioni d’italianità che ci ammannisce, in questi tempi disgraziati, Roberto Benigni dal suo ormai tradizionale pulpito: il Festival di Sanremo, una cattedra di storia patria dalla quale il Professor Gianni Morandi e l’accademica Belen Rodriguez spacciano Antonio Gramsci per un fan del Risorgimento sabaudo.
Ai politici cinici, dei quali è bene diffidare come di quelli idealisti, sono tuttavia da preferire i cittadini e i contribuenti cinici, cioè quanti tra noi non si lasciano ingannare dalle campagne giornalistiche e dalle promesse elettorali. Un politico cinico, come avverte Hanna Arendt, può facilmente passare dall’inganno all’autoinganno e perdere così «ogni contatto col suo pubblico e col mondo reale». Ma un cittadino cinico, a differenza dell’uomo di potere, non preferirà mai lo stato d’ebbrezza alla ragione, né gli farete mai credere che «le tasse sono bellissime». Mentre il suo cinismo è democratico, cioè realistico e moderato, la retorica dei politici di mestiere è nichilista, brutale, visionaria, e il suo retropensiero è sempre lo stesso, immutato nei secoli: alimentare gli spropositi e preparare disastri (talvolta apocalissi). Un cinico, come Sir John Falfstaff secondo un passo di Søren Kierkegaard citato da Funiciello, «può istruire solo in materia di libertà». Gli altri, i demagoghi, sono maestri di manipolazione e utopia, cioè di menzogna e, all’occorrenza, di terrore.