Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 5/3/2011, 5 marzo 2011
“IL GIOIELLINO”, VA IN SCENA LA RABBIA DEI RISPARMIATORI
Piacere: Costa Gianni, 75 anni, parmigian del sas (parmigiano radicato nella pietra, si dice così), operaio di una ditta di meccanica di precisione in pensione e soprattutto risparmiatore fregato da Parmalat». L’appuntamento è al multisala Cinecity, periferia sud ovest di Parma limitrofo al campus universitario. Ore 16.40, primo spettacolo nel primo giorno di programmazione del film «Il gioiellino», romanzo criminale del più grande crack della storia europea, nella città che lo ha partorito, allevato, custodito, protetto e ingigantito fino a farlo scoppiare. Collecchio è sette chilometri più in là, la villa di Calisto Tanzi in mezzo. Il pensionato Gianni è uno degli italiani (centocinquantamila, forse di più) che hanno messo i soldi nel buco di Tanzi. Cinquemila euro di risparmi giocati ai dadi dei bond, un pomeriggio di tredici anni fa, e finiti nella voragine da quattordici miliardi. Stessa cifra di Claudio Regi, 35 anni, segretario in un albergo, che a differenza di Gianni, uno dei primi a fare la fila alle associazioni dei consumatori nel gennaio 2004, non ha nemmeno provato a recuperare qualcosa con gli avvocati: «Basta, è tutto perso, non voglio tribolare più».
Si è radunata una specie di cineforum: arrivano Elvio Ubaldi, sindaco nei giorni del crack, Mara Colla, ex sindaco e ora presidente di Confconsumatori che assiste 500 risparmiatori parmigiani, Ugo Marchesa Rossi, enciclopedico consulente di Carlo Federico Grosso nei processi a difesa di 32 mila italiani che sono riusciti a recuperare circa il 30 per cento dei soldi investiti. Per ultima si aggrega Valentina
Ferrarini: aveva 20 anni e si era appena iscritta all’università quando si fece «convincere da un’amica di famiglia a fare il primo investimento, diecimila euro messi da parte dai genitori». In sala, oltre a noi, solo cinque paganti: due anziani, tre signore eleganti. Al secondo spettacolo, una trentina. Parma ha accolto il film con freddezza. Ieri poche righe sui giornali locali, nessuna locandina in città, figurarsi iniziative tipo proiezioni speciali. Dall’Unione industriali, di cui Tanzi era dominus, alle associazioni di categoria, dai politici agli intellettuali: la rimozione sembra collettiva. Spiega l’ex sindaco Ubaldi: «A Tanzi nessuno ha tolto il saluto, perché quando era potente non è mai stato arrogante. Lo trovavi in pizzeria da Nino, dava quattrini al volontariato, restaurava il Duomo. Il crac ci ha sorpresi, ma non indignati».
Il film vive sul rapporto tra Girone e Servillo, trasfigurazione cinematografica di Tanzi e Tonna. «Tonna è proprio lui», commentano all’unisono gli spettatori. «Stesso piglio, diabolica lucidità, intelligenza analitica». Convince meno Tanzi, soprattutto nella prima parte, quando lava i piatti mentre discute di margini operativi lordi e diversificazioni finanziarie. I fregati da Parmalat reagiscono diversamente. Con ira gelida il giovane Pietro, accompagnando con smorfie sardoniche le vertigini finanziarie della banda di Collecchio: «Sembrano Michael Douglas in Wall Street. Che schifo, che assenza di coscienza», sibila. Con rabbia dolente l’anziano Gianni, immobile come sul patibolo: «Ho un magone, ho un magone…», ripete battendo il pugno sul cuore. L’irresistibile ascesa di Tanzi e Tonna declina nel calvario, i volti di Girone e Servillo si contraggono, lo sfarzo tra jet privati e belle donne lascia il posto ai patemi, alle notti insonni per tappare le falle nei bilanci, ai computer fracassati per cancellare le prove, finché spunta la segretaria nell’ufficio del capo: «È tutto finito».
Pietro prova un sottile godimento quando nell’ufficio di Parmatour non hanno più i soldi per ricaricare la macchina del caffè. «Ecco, quello è il mio fondo d’investimento», grida all’improvviso mentre va in scena l’ennesima riunione con i banchieri a caccia di ossigeno finanziario. A volte anticipa le battute, come se avesse collaborato alla sceneggiatura. Quando Servillo-Tonna orchestra il disperato copia-e-incolla su un deposito bancario fantasma, Gianni si tende in avanti, quasi a voler scavalcare le poltrone per piombare nello schermo e farsi giustizia: «Maledetti! Maledetti! Ah, se quel giorno non fossi andato in banca, non mi fossi lasciato convincere…». Una volta Tanzi l’ha incontrato davvero, per strada, ricoprendolo di improperi: «Non sono riuscito a trattenermi», si giustifica.
Ultima scena, gli arresti. Servillo in controluce portato via dalla polizia. «Eppure - ricorda Pietro che ha studiato economia - all’università per tutti noi Parmalat era un sogno, un esempio. Ora quei due mi sembrano malvissuti, penosi». Sui titoli di coda Gianni si lascia scappare una lacrima. Pietro si ferma in sala fino all’ultimo secondo: «Sai cosa mi resta di tutta questa storia? Quando Tanzi comprò Dino Baggio, intervistarono l’avvocato Agnelli chiedendogli se gli dispiacesse. E lui rispose: “Mi dispiace, ma cosa volete, oggi il latte tira più dell’auto”. Ecco, in quel momento ci sentimmo tutti miliardari».