L. Fornovo, G. Paolucci, La Stampa 5/3/2011, 5 marzo 2011
3.420.000.000: IL TESORO DI TRIPOLI CHE NESSUNO HA ANCORA BLOCCATO
A ieri, erano più o meno 3,4 miliardi di euro. Ai quali si potrebbero aggiungere tra poco più di due mesi altri 300 milioni di euro circa, sottoforma di dividendi. È il «tesoretto» italiano di Gheddafi, le partecipazioni in società italiane di fondi sovrani, società e altri veicoli che fanno capo, almeno per ora, alla Libia di Muammar Gheddafi. È questo il valore totale degli asset quotati della Lia (Libyan Investment Authority, ha il 2,6 di Unicredit che vale circa 800 milioni di euro e il 2 di Finmeccanica), della Central Bank of Libya (il 4,7% della stessa Unicredit), della Lafico (il 7,5% di Juventus), della Lptic (ha il 14,7% di Retelit e farebbe capo direttamente a uno dei figli del Rais, Mohammed) e degli altri investimenti «libici» in Italia. Su questi asset, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha detto ieri che si stanno studiando ulteriori misure restrittive in sede europea oltre a quelle decise sui beni riconducibili direttamente a Gheddafi e ad una serie di persone del suo entourage. La questione, in breve, è la seguente: se oggi il presidente della Banca Centrale libica, Farhat Omar Bengdara, che è anche decidesse di vendere tutto il 4,7% di Unicredit nelle sue disponibilità, potrebbe farlo. Almeno in teoria, in pratica sarebbe più complicato se non altro per il crollo delle quotazioni che una simile operazione porterebbe con se. Anche la Lia potrebbe vendere le sue partecipazioni in Finmeccanica e in Unicredit, valore complessivo oltre 900 milioni di euro, mentre non potrebbe vendere la quota del gruppo editoriale Pearson, ad esempio, quello che pubblica il Financial Times. I suoi asset in Gran Bretagna sono congelati, così come sono congelati in Usa.
Mohammed Gheddafi guida la Libyan Post and Telecommunication Investment Company, entità la cui riferibilità ai beni dello stato era quantomeno dubbia ben prima dello scoppio delle rivolte di Tripoli. In Germania, si è visto congelare circa due milioni di euro depositati presso una banca privata. Se decidesse di vendere la quota in Retelit, dove Lptic è il primo azionista, porterebbe a casa, sempre ai prezzi di ieri, 9,3 milioni di euro. Poca cosa, ma almeno rientrerebbe dei soldi congelati dai tedeschi. L’unico freno, molto blando, è una comunicazione partita da Bankitalia e diretta agli intermediari, invitati a segnalare operazioni «sospette» per i profili antiriciclaggio compiute da soggetti legati alla famiglia Gheddafi o al governo di Tripoli all’Unità di informazione finanziaria (Uif) di via Nazionale.
Il fiume di dividendi che dall’Italia potrebbe prendere la via di Tripoli, almeno quello, è al momento molto incerto. Le cedole saranno staccate tra non meno di due mesi, quando probabilmente la situazione non sarà quella di oggi. Altrimenti, se le stime degli analisti si riveleranno esatte, solo da piazza Cordusio arriveranno in Libia 266 milioni di euro di cedole. Altri 40 milioni circa sono quelli che potrebbero arrivare da Eni, grazie all’1% che sarebbe nelle disponibilità dei fondi di Tripoli - partecipazione che peraltro non risulta all’ad del gruppo, Paolo Scaroni. La Juventus, il cui 7,5 per cento valeva ieri 13,2 milioni di euro, ha chiuso il bilancio in perdita e non darà dividendi.