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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

Sulla contessa di Castiglione

A tutti gli eroi delle patrie battaglie è dedicato un ricordo, una commemorazione: a tutti, tranne uno. Anzi una. L’Italia unita ha tanti padri: Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour e Giuseppe Mazzini. Di madre invece ce n’è scrupolosamente una sola, ma la si nasconde, forse perché quello italiano è un patriottismo maschilista ma anche bigotto. Così dal patrio album di famiglia è stata fatta sparire l’immagine della “mamma della Patria”. Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria è nata a Firenze il 22 marzo 1837 dalla fiorentina Isabella Lamporecchi e dal marchese spezzino Filippo Oldoini. La paternità non è certissima: la disinvolta contessina Isabella si sarebbe infatti intrattenuta con grande cordialità con il Granduca di Toscana, con Luigi Bonaparte (poi diventato Napoleone III), con un Savoia, con il nobile polacco Giuseppe Poniatowski, e addirittura con un cardinale.

Una splendida cugina
In ogni caso la fanciulla è bene imparentata: il padre ufficiale è cugino di secondo grado di Cavour e amico di Massimo d’Azeglio, che conia per la fanciulla il nomignolo di Nicchia, da Virginia passando per Virginicchia. Al Congresso di Parigi, Cavour viene definito «il brutto cugino della bella cugina». Infatti Nicchia è di una bellezza sconvolgente, è anche sveglia, intelligente e piena di vita. Il 9 gennaio 1854 sposa, a 17 anni, il conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti, assumendo così il titolo con cui è consegnata alla storia: contessa di Castiglione. Nel giro diunanno scodellaunfiglio e si lancia in un vorticoso giro di relazioni amorose. Delle straordinarie doti dellacugina si accorge subito Cavour (uno dei pochi - per quel che se ne sa - a non averne sorseggiato neppure un po’ le grazie), che la affida a Costantino Nigra per un’opera - zione di spregiudicata diplomazia segreta: farle sedurre l’imperatore di Francia e “in - dirizzarlo” verso l’appoggio alla causa dell’unità italiana. Confessa Cavour: «Se facessimo per il nostro personale interesse quello che stiamo facendo per l’Italia, saremmo le persone più spregevoli del mondo ». Nicchia ci si butta con l’entusiasmo dei suoi 19 anni e si occupa dell’uomo piùpotente d’Europa, che era amico della sua famiglia e “molto amico” di sua madre: dettaglio che ha spinto i più maliziosi a ipotizzare una complicazione incestuosa. In ogni caso lo infervora all’ideale unitario e gli fa assaporare le voluttuose brezze della redenzione italiana. Ma esagera in slancio patriottico: oltre a Napoleone, concede le sue fragranze anche a Nigra e a uno stuolo di ammiratori altolocati, suscitando le invidie delle dame di corte e pruriti alla pur spaziosa fronte imperiale. Nicchia viene perciò esiliata da Parigi alla fine del 1857, ma ormai il suo compito è stato portato fruttuosamente a termine: Napoleone si è invaghito della causa sabauda e a Plombiéres mette nero su bianco il suo impegno. Riconoscendone lo straordinario apporto “diplomatico” alla causa nazionale, Urbano Rattazzi l’ha chiamata «la vulva d’oro del nostro Risorgimento», titolo con cui dovrebbe essere consegnata alla storia con il meritato rilievo. Delusa per la scarsa riconoscenza della patria (tutte le spese della spedizione parigina sono state pagate dal povero conte Verasis), Nicchia se ne torna a casa, dove si consola diventando l’amante di molti altri baldanzosi eroi risorgimentali,comeEmilio Faà di Bruno (perito a Lissa) e Guglielmo Acton (l’ufficiale borbonico che a Marsala «non aveva visto» lo sbarco garibaldino, poi diventato ammiraglio e ministro italiano), ma anche di politici e finanzieri, comei fratelli Rothschild, la cui frequentazione e familiarità le permette di accumulare una discreta fortuna economica in speculazioni di Borsa.

Gigantografia nuda
Diventa anche l’amante fissa del re per qualche stagione e spunta una pensione annua di 12.000 franchi per i servigi alla patria: dopo la morte di Vittorio Emanuele è stata trovata nel suo studio una gigantografia della contessa nuda, subito pudicamente distrutta, nascosta in un sottofondo assieme a 20 milioni di lire che malelingue associano al “prestito” che il banchiere Domenico Balduino avrebbe fatto al re in occasione della cessione del monopolio dei tabacchi, fra il 1868 e il 1869. Uno scrigno con le due più grandi passioni regali: il danaro e le grazie muliebri. Negli anni che seguono, la sua dedizione a intessere rapporti diplomatici si rende ancora utile nel creare contatti con lo Stato della Chiesa (sarebbe interessante esplorare la versione curiale del suo bagaglio relazionale) e nell’aiutare la Francia a mitigare le conseguenze della sconfitta del 1870. La Francia diventa la sua vera patria, si trasferisce a Parigi nel 1872 e lì resta fino alla sua morte, nel 1899. Viene sepolta nel cimitero parigino di Père Lachaise perché il governo italiano si rifiuta di accoglierne le spoglie: un brutto gesto di ingratitudine per una donna che ha fatto di più (e di meglio) di ogni altro per l’unità. Nicchianeha totale coscienza, avendo più volte affermato: «Ho fatto l’Italia». Aveva solo ragione.