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 2011  marzo 04 Venerdì calendario

Un pool di «firme» per capire il Duce - Le prime copie delle Me­morie del cameriere di Mussolini firmate da Quinto Navarra usciro­no ad agosto del ’ 46 per la Longanesi&C

Un pool di «firme» per capire il Duce - Le prime copie delle Me­morie del cameriere di Mussolini firmate da Quinto Navarra usciro­no ad agosto del ’ 46 per la Longanesi&C., fondata all’inizio di febbraio da Leo Longa­nesi e Giovanni Monti. Dietro la pa­ternità di questo volume fortunato c’è una storia molto curiosa. Longanesi,all’indomani della ca­duta del fascismo e nell’immediato dopoguerra si ritrovò a fare i conti con le difficoltà di reinserimento nel­la­vita giornalistica e culturale del Pa­ese. Il suo nome appariva a molti compromesso con il passato regi­me e gli si rimproverava, per esem­pio, il fatto di aver coniato lo slogan: «Mussolini ha sempre ragione». Molto probabilmente Longanesi, più che un ostracismo politico, scon­tava l’invidia che la sua intelligenza aveva suscitato e le vendette dei ne­mici che la sua impertinenza aveva provocato. A Napoli, dove, dopo il 25 luglio, si era rifugiato con alcuni amici tra i quali Steno e Mario Solda­ti, aveva ripreso l’attivitàgiornalisti­ca­occupandosi anche di trasmissio­ni radiofoniche: proprio con Steno e Soldati aveva messo in piedi la tra­smissione satirica Stella bianca , che ottenne grande successo. Tornato a Roma e poi a Milano, Longanesi, dopo qualche esperien­za presso altri editori decise di met­tersi in proprio, dopo aver incontra­to l’industriale Monti che non esitò a finanziarlo. Si rivolse subito a po­chi amici fidati - Indro Montanelli e Giovanni Ansaldo fra questi - invi­tandoli a collaborare alla nuova im­presa. Ad Ansaldo scrisse una lunga lettera in cui, fra l’altro, confessava di essersi deciso a dedicarsi alle edi­zi­oni perché si era reso conto che mi­glior cosa per lui sarebbe stata non fare nulla che lo legasse alla politica. E aggiungeva:«Facendo l’editore s­o­no un datore di lavoro e ho il coltello per il manico. Ho già visto molti di quelli che ci volevano fucilare veni­re a chiedermi di pubblicare un li­bro. E lei immagina con quale gusto abbia detto di no . Gli anni passano, il mondo sembra spezzarsi, ma, alla fine, le regole della nostra vita sono sempre le stesse. Perciò ho abbrac­ciato la causa dei padroni e morirò combattendo per quella,perché so­no padrone anch’io. Non credo che riusciranno a sconfiggerci tanto fa­cilmente ». Le origini della casa editrice Lon­ganesi c’entrano, più di quanto si pensi, con la storia delle memorie di Quinto Navarra. C’entrano, perché questa casa editrice era un’azienda sui generis . Il fondatore non si limita­ta a dirigerla e a pubblicare libri. Vo­leva che avesse un suo carattere e che i suoi volumi avessero un pro­prio riconoscibile stile, anche lingui­stico. Così, alcuni dei suoi sodali e lui stesso si abituarono a fare un lavo­ro di editing che, in qualche caso, era addirittura di riscrittura. Longa­nesi non solo cercava e sceglieva i li­bri, ma dava anche indicazioni e idee per scriverne. Lo fece con Spa­dolini, Monelli, Flaiano e tanti altri. Le Memorie del cameriere di Mus­solini sono la dimostrazione della genialità di Longanesi, il quale sep­pe per caso che a Roma viveva un certo Quinto Navarra, che era stato per tanti anni commesso di Mussoli­ni. Si mise in contatto con lui e gli fe­ce un contratto di 50mila lire più una percentuale sulle vendite. Oltre a fornire il manoscritto che, a detta di Ansaldo, «non valeva nulla», Na­varra si impegnò a raccontare a Lon­ganesi fatti, notizie, ricordi per rim­polpare il volume. Ebbero così ini­zio i colloqui di Longanesi con Na­varra, il quale, a quanto si racconta, qualche volta si impuntava sospet­toso di­fronte a domande che gli ap­parivano troppo pettegole o scanda­listiche. Navarra non voleva - e ave­v­a preteso che ciò fosse contrattual­mente stabilito - che il libro avesse un carattere troppo antimussolinia­no. A un certo punto i colloqui si in­terruppero o diventarono proble­matici perché Navarra fu colpito da una semiparalisi. A questo punto Longanesi affidò a Steno la prima stesura del lavoro. Poi lo prese in mano lui direttamen­te e, con Montanelli, lo ritoccò, lo ampliò inserendovi aneddoti e bat­tute che non erano di Navarra, ma provenivano da altre fonti. Giovan­ni Ansaldo, nel suo diario, annotò la storia delle Memorie del cameriere di Mussolini , facendo notare che con il contratto Longanesi aveva ac­quistato «non già un’opera, ma la possibilità di un’opera»e che dal la­voro a più mani era venuto fuori «un monstrum composito, di cui il Na­varra non è affatto l’autore, ma sem­plicemente il gerente; un volume la cui serietà come documento è molto discutibile, ma la cui importanza co­me tentativo di comprensione psi­cologica di Mussolini è notevole». Gli storici, poi, queste memorie le hanno prese sul serio e non c’è bio­grafia - dal gustoso Mussolini picco­lo borghese di Paolo Monelli, ai quat­tro volumi di Mussolini. L’uomo e l’opera di Giorgio Pini e Duilio Su­smel fino al grande lavoro di Renzo De Felice - che non vi attinga. Navarra, quando vide il libro, si inalberò e pensò di far causa a Lon­ganesi perché gli sembrava che aves­se un tono troppo antimussolinia­no. Ma poi decise di soprassedere. Commentando questi eventi, dopo che Longanesi, al termine di una ce­na con amici a Milano, gli ebbe rega­lato «con visibile sforzo» una copia del libro, Giovanni Ansaldo scrisse nel diario che Navarra aveva torto e aggiunse:«Longanesi tenne fede al­l’impegno. Del resto, Longanesi, di fronte alla memoria di Mussolini, è in uno stato d’animo e di giudizio ben diverso dall’antifascismo volga­re. Non inveisce, non accusa, affat­to, né ironizza con quella punta che aveva quando il dittatore era vivo. Si direbbe che la fine di lui abbia indot­t­o nell’animo suo una specie di mez­za ammirazione segreta; ma non tanto segreta. L’altra sera mi diceva che tutto sommato Mussolini chiu­de la serie dei grossi italiani moder­ni: “l’ultimo fico del bigoncio”». Nessun giallo, quindi, dietro la pubblicazione delle Memorie del ca­meriere di Mussolini , ma, come si di­ceva, una storia curiosa, ed emble­matica, di un’Italia da poco uscita dal fascismo e sensibile, ancora, alle suggestioni dell’uomo di Predap­pio.