Valentino Parlato, Libero 1/3/2011, 1 marzo 2011
Stalin e la gara a chi ne uccide di più - Nel 1956, al XX Congresso del Partito Comunista dell’Urss, Nikita Krusciov denunciò i crimini di Stalin, portando a compimento l’opera di destalinizzazione incominciata all’indomani della morte del dittatore georgiano
Stalin e la gara a chi ne uccide di più - Nel 1956, al XX Congresso del Partito Comunista dell’Urss, Nikita Krusciov denunciò i crimini di Stalin, portando a compimento l’opera di destalinizzazione incominciata all’indomani della morte del dittatore georgiano. In quella occasione, il nuovo capo del Cremlino si guardò bene dal ricordare le vittime del “Grande Terrore”, limitandosi a condannare gli abusi staliniani contro la nomenclatura sovietica. Il principale motivo di tale omissione fu che Krusciov aveva partecipato attivamente alle varieoperazioniche, tra il luglio del 1937 e la fine del 1938, portarono alla morte per fucilazione o nei gulag circa un milione di persone, mentre un altro milione fu condannato a varie pene detentive (comunque non meno di dieci anni). Come emerge ora dalla accurata ricerca di Nicolas Werth, Nemici del popolo. Autopsia di un assassinio di massa. Urss, 1937-1938 (Il Mulino, pp. 296, euro 26) in libreria dal 3 marzo. Il volume, sulla scorta di un dettagliato scavo negli archivi sovietici, mette in luce non solo l’entità della tragedia - ignorata nelle sue reali dimensioni - ma soprattutto l’iter burocratico che questa vicenda dovette seguire; e proprio la burocrazia diventa l’arma in più del regime per trasformare le varie risoluzioni staliniane in una vasta eliminazione di massa, forse la più ampia prima della II guerra mondiale. Tutto iniziò nel luglio 1937, allorché Stalin decise di procedere alla eliminazione di un numero considerevole di «nemici delpopolo », che si annidavano a vari livelli: i primo luogo i kulaki, i contadini ricchi, già oggetto di “attenzioni” da parte del vertice sovietico tra il 1930 e il 1933, quando nelle deportazioni di due milioni e mezzo di uomini, donne e bambini perirono non meno di 500mila persone. Nel 1937, il termine kulakaveva aveva perso il suo significato originario: stava a indicare gli individui dei quali il potere sovietico si doveva sbarazzare, e cioè ex proprietari terrieri e i ministri di culto, indicati come «persone del passato», i commercianti e gli ex membri del Partito socialista rivoluzionario. Oltre a costoro, vennero colpiti i confinati e gli esiliati all’inizio degli anni Trenta, gli ex funzionari zaristi, coloro che erano stati radiati dal Pcus, i criminali comuni, gli emigrati rientrati nell’Urss o gli immigrati politici, attratti dalla società comunista. Nonmeno di tre milioni di persone erano state schedate all’uopo; l’aggravarsi della situazione internazionale e la paura dell’alleanza tra Giappone e Germania consigliò il Cremlino di procedere a una cura preventiva per eliminare quanti avrebbero potuto mettere a rischio il cammino della rivoluzione. La procedura fu strettamente burocratica e segreta. Protagonista fu Nikolaj Ezov, commissario del popolo agli Affari Interni, il quale, in stretto contatto con Stalin, emanò «l’ordine operativo n. 00447», la cui applicazione si concluse con l’arresto di circa 800mila persone, di cui una buona metà fu giustiziata e gli altri condannati a una pena di dieci anni di gulag. Poi fu la volta delle cosiddette «operazioni nazionali », la prima delle quali colpì i tedeschi presenti nell’Urss; quindi fu la volta dei polacchi, poi dei “giapponesi” (in realtà, ex dipendenti di una compagnia ferroviaria della Cina orientale o russi che erano vissuti per qualche tempo in Manciuria), per finire con lettoni, finlandesi, greci, romeni ed estoni. Sebbene le direttive fossero decise dal centro, i capi locali del commissariato degli Interni finirono con l’avere ampia autonomia. Da Mosca si indicarono le “quote”di arresti e di eliminazioni ai quali le singole regioni dell’Unione si sarebbero dovute attenere. Tali quote, nel corso dei 16 mesi del “Grande Terrore”, furono aumentate più volte, secondo le decisioni di Stalin e di Ezov. Si determinò così una sorta di gara su chi eliminava di più. E l’Ucraina, con Krusciov, si distinse per efficienza. A esempio, il commissario di Tomsk raccomandava ai suoi uomini maggiore impegno: «Ottenete delle confessioni. Ma se non cela fate, nonimporta: mettete nei fascicoli di chi non ha confessato due testimonianze di persone che l’hanno fatto, e va bene così. Non vi pongo dei limiti riguardo all’età degli arrestati. Potete darci dei vecchi. Ciò di cui abbiamo bisogno è forzare i ritmi, perché i nostri vicini degli Urali ci hanno superato. (...). Ogni giudice istruttore deve occuparsi di non meno di 7-10 casi al giorno. Lo ripeto: è il minimo. A Stalinsk e a Novosibirsk, i nostri ragazzi meno qualificati preparano giornalmente 12-15 casi ». Ciò spiega perché le “quote” furono largamente superate in tutto il territorio dell’Urss. A un certo punto si dovette pensare anche alle mogli dei condannati, che insistevano per avere informazioni. Anch’esse furono deportate, salvo quelle che avevano già denunciato i mariti come nemici del popolo. Nel 1940, in un contesto internazionale diverso, Stalin decise che lo zelante Ezov dovesse essere liquidato; prima lo sostituì con Berija, quindi lo fece eliminare, insieme con tutti quelli che avevano collaborato con lui nel “Grande Terrore”. Un libro importante, questo di Werth, che interpreta giustamente l’eliminazione di massa non come un accidente creato da un folle dittatore, ma come un sistema costante e funzionale.