Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 04/03/2011, 4 marzo 2011
LIBIA: IMMIGRATI IN FUGA VERSO PATRIE INGRATE
Ho letto che in Libia (6 milioni e mezzo di abitanti) lavoravano fino a prima della crisi ben 10 milioni di stranieri, in gran parte tunisini, egiziani, marocchini, algerini e dei Paesi africani. Questa gente l’abbiamo vista in fuga alle frontiere. E domani, essendo rimasti senza lavoro, credo che ce li ritroveremo sui barconi diretti in Italia e in Europa. Ma c’è un Paese europeo che ha saputo assicurare 10 milioni di posti di lavoro ai migranti? Qualche merito bisogna riconoscerlo anche a Gheddafi se ha saputo mantenere le frontiere aperte e assicurare tanti posti di lavoro.
Rino Lombardo
rinolombardo@gmail. com
Caro Lombardo, non credo che esistano statistiche verificabili, ma una cifra più vicina alla realtà è probabilmente un milione e mezzo. Di questi lavoratori stranieri il gruppo più numeroso è quello degli egiziani (un milione) seguito da africani delle regioni subsahariane, tunisini, turchi, filippini, thailandesi, cinesi, indiani, cittadini dell’Europa balcanica. Ciò che a tutta prima può apparire sorprendente accade in realtà in quasi tutti i Paesi arabi dove esistono importanti giacimenti petroliferi. In Arabia Saudita (27 milioni di abitanti) i lavoratori stranieri sono sei milioni. Nel Qatar e negli Emirati Arabi Uniti la popolazione locale è rispettivamente il 20%e il 17%del totale. Gli indigeni godono in generale di alcuni benefici fiscali, soprattutto nel Golfo Persico, e preferiscono lasciare agli stranieri i lavori manuali. In Libia gli egiziani e i tunisini sono elettricisti, idraulici, operai delle industrie, lavoratori dell’edilizia, panificatori, pasticcieri; i camerieri degli alberghi sono spesso filippini; i cinesi lavorano nelle grandi opere pubbliche appaltate a imprese straniere; i subsahariani fanno i mestieri più umili e faticosi; mentre il personale ospedaliero proviene dall’Europa balcanica (ricorda il caso delle infermiere bulgare, accusate di avere contagiato con l’Aids alcuni bambini di Bengasi e liberate soltanto dopo un estenuante negoziato condotto principalmente dalla Francia?). Le occupazioni preferite dai libici sono gli impieghi amministrativi nella funzione pubblica e il commercio. Gli effetti della rivolta sulla condizione degli stranieri in Libia e, più generalmente, sull’intera regione sono drammatici. Mentre le fabbriche sono chiuse e nei cantieri non si lavora, i tunisini e gli egiziani stanno cercando di tornare nei loro Paesi dove potrebbero aggravare le ricadute economiche dei moti popolari delle scorse settimane. La Tunisia ha fatto del suo meglio per predisporre un servizio di accoglienza alla frontiera, mentre l’Egitto sembra guardare con preoccupazione al massiccio ritorno di persone che andrebbero a ingrossare, se la gente decidesse di ritornare nelle piazze, le manifestazioni popolari. Per gli immigrati subsahariani le prospettive sono ancora più grame: la patria è lontana e il colore della pelle li accomuna, nell’immaginazione popolare, ai mercenari prezzolati da Gheddafi. La crisi dei regimi nordafricani è anche inevitabilmente una crisi economica, sociale e umanitaria. L’Unione Europea non può intervenire militarmente, ma può e deve mobilitare le sue energie per alleviare, nella misura del possibile, la condizione dei profughi. In questi giorni l’Italia sta prestando la sua assistenza soprattutto al governo tunisino.
Sergio Romano