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 2011  marzo 04 Venerdì calendario

PISTOLETTO, L’ULTIMO UTOPISTA

«Si è detto che i Quadri specchianti sono la cifra del mio lavoro. Non è vero; sono il mio filo conduttore, perché trasfigurando l’autoritratto nel ritratto del mondo ho allargato la mia visione personale a una visione a trecentosessanta gradi della società» . Vestito completamente di nero, barba brizzolata e fascino alla Sean Connery che non risente affatto dei settant’anni ormai alle spalle, Michelangelo Pistoletto ha inaugurato ieri le due mostre che lo celebrano al Maxxi, al fianco del presidente del Pio Baldi. Nate da un progetto congiunto del Museo di arte del XXI secolo e del Philadelphia Museum of Art, hanno impegnato per cinque anni Anna Mattirolo e Timothy Rub, direttori l’una del museo romano, l’altro di quello americano. Oltre all’argentino Carlos Basualdo, che ha curato le due esposizioni, una dedicata ai lavori realizzati tra il 1956 e il 1974 e l’altra a Cittadellarte, il laboratorio interdisciplinare fondato dall’artista a Biella nel 1998. «Pistoletto, che ho incontrato per la prima volta nel 2006, quando insegnavo a Venezia— dice Basualdo — ha creato delle opere che non solo hanno segnato l’arte del Novecento, ma che ora danno l’occasione di ripercorrere un pezzo di storia d’Italia. Forse anche per questo a Philadelphia, dove hanno debuttato visto che la costruzione del Maxxi non era ancora terminata, hanno attratto ottantamila visitatori in dieci settimane» . Il percorso inizia con la spettacolare sequenza dei «Quadri specchianti» . Si tratta dei primi lavori di Pistoletto, nati da una precocissima intuizione: quella di dipingere il proprio ritratto sopra una superficie a specchio, dove lo spettatore si riflette e diventa a sua volta attore e protagonista, interagendo direttamente con la figura dipinta. Ad accogliere i visitatori è l’Autoritratto seduto, realizzato nel 1960, quando l’artista sperimentava le finiture su tela con vernici da barca, che rendevano le superfici uniformi e riflettenti al tempo stesso. Poi scoprì che l’effetto del riflesso poteva essere accentuato lucidando l’acciaio inox. E le figure sarebbero apparse più reali se elaborate da fotografie. Con l’aiuto del fotografo Paolo Bressano comincia perciò a ritrarre amici e parenti, ingrandisce le immagini fino alla scala reale e infine le tratteggia su carta velina e le dipinge a mano dettagliatamente. Continuando a intrecciare fotografia, disegno e pittura, espande sempre più il mondo dei personaggi, le storie private diventano storie di gente fotografata per la strada, nelle manifestazioni che esplodono alla fine degli anni Sessanta, fino all’Uomo che spara, alla Cage, al Cappio, alla Deposizione, tutti del 1973, che preannunciano la stagione del terrorismo. Nella galleria del Maxxi, totalmente priva di pareti, le figure dipinte si mescolano a quelle reali, alla fine non si distinguono più le une dalle altre, la scena rappresentata cambia continuamente, man mano che i visitatori si alternano davanti alla superficie dei quadri. Inoltre questi, riflettendosi reciprocamente all’infinito, creano un universo in movimento, affollatissimo e variegato. «Il Quadro specchiante attraversa tutta la mia vita e la mia storia» , dice l’artista. «Fissa la memoria del passato e si riproduce nel futuro, con le persone che si affacceranno allo specchio negli anni a venire, che in questo momento non sono neppure concepite, eppure sono già lì, dentro lo specchio, perché è sicuro che un giorno vi saranno riflesse» . Da questa idea di trasposizione dell’uno nei molti nasce anche il concetto di Cittadellarte, la sua ultima invenzione, dove l’arte include l’architettura, l’educazione, la politica, la moda. Passando per i Plexiglas, gli Oggetti in meno, gli Stracci, le performance con Lo Zoo, il gruppo di teatro di strada che comincia a collaborare con Pistoletto alla fine degli anni Sessanta. Si attraversano le cento opere come in un viaggio nel tempo, per approdare alla Cittadellarte, ricostruita con appunti essenziali nella sala Gian Ferrari del Maxxi. Al centro dello spazio, il Nuovo segno dell’infinito, simbolo del Terzo Paradiso: tre cerchi che «uniscono il paradiso naturale e quello artificiale; il cerchio centrale rappresenta il ventre femminile con l’ombelico, la zona procreativa del nuovo mondo. Ho sostituito l’uomo al centro dell’universo, concepito da Leonardo, con il concetto della maternità» . A questo punto è arrivata Gianna Nannini. «Ha portato la musica nel mio lavoro. La musica rappresenta la ritualità, l’inizio di tutte le religioni. L’arte contemporanea è una forma espressiva di spiritualità; io vorrei che diventasse anche rituale» .
Lauretta Colonnelli