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 2011  marzo 04 Venerdì calendario

IL BONUS NIDO? SOLTANTO 15 EURO. PER UN FUNERALE TREDICI VOLTE DI PIU’ —

Da cinque anni anche l’Italia ha il suo bel ministero per i giovani. Il centrosinistra l’aveva chiamato «delle politiche giovanili» mentre il centrodestra ha puntato su un più marziale «della gioventù» . Ma la sostanza non cambia. Con o senza ministero, il nostro non è un Paese per giovani, come dice chiaramente un dettaglio nascosto nella giungla dei dati del nostro Fisco: la detrazione dalle tasse prevista per il costo dell’asilo nido ha pesato nel 2009 sui conti pubblici tredici volte meno dello sconto fiscale per le spese di un funerale. Con esattezza, secondo i calcoli dell’ufficio studi della Confartigianato, 15 euro per ognuno dei 2 milioni 267.446 bambini fino a tre anni contro 199 euro per ciascuno dei 591.663 morti. Non è un caso che in un Paese del genere il tasso di disoccupazione dei lavoratori più giovani, statisticamente appartenenti alla fascia dei 15-25 anni, abbia raggiunto alla fine del 2010 il 29 per cento, contro una media dell’Europa a 27, che comprende quindi anche le nazioni meno sviluppate, come Romania, Bulgaria e Slovacchia, pari al 21 per cento. Come non è un caso, calcola sempre l’organizzazione degli artigiani in un rapporto sui giovani e il lavoro durante la recessione, che nei 24 mesi della più tremenda crisi economica dalla grande Depressione degli anni Trenta, dal terzo trimestre 2008 allo stesso periodo del 2010, il numero degli occupati fino ai 35 anni di età sia diminuito di 934.600 unità. E mentre quasi un milione di costoro perdevano il posto di lavoro, 253.400 persone più anziane, fra i 35 e i 64 anni, invece ne trovavano uno. Un paradosso clamoroso, ma per il presidente dei giovani della Confartigianato, Marco Colombo, assolutamente comprensibile: «In un momento come questo, nel quale conta la prontezza con cui si risponde alle esigenze del mercato, le imprese evidentemente preferiscono assumere lavoratori già esperti anziché personale necessariamente da formare» . Detta brutalmente, investire nei giovani oggi è poco conveniente. Mentre sono semmai i giovani a trovare convenienza nell’investimento su se stessi. Anche per mancanza di alternative. Sempre la Confartigianato ci dice che l’Italia ha il record europeo di «imprenditori e lavoratori autonomi» under 40. Sono un milione 926.700, pari al 19,8%di tutti gli occupati non ancora quarantenni. Quasi il doppio della media di tutta l’Unione Europea, ferma al 10,5%. Addirittura il triplo della Germania (6,6%) e il quadruplo della Danimarca (5,1%). Ma è un fenomeno che solo in parte si spiega con «la diffusa propensione a fare impresa» . Il fatto è che in quel numero ci sono anche moltissimi precari, giovani costretti ad attraversare il purgatorio della flessibilità, parte di quel popolo delle partite Iva che vive di collaborazioni «a progetto» o di lavoro dipendente a termine sotto le mentite spoglie della «consulenza» . Nel contempo, la platea dei cosiddetti Neet, Not in education, employment or training, vale a dire gli under 30 che non studiano né lavorano. Alla fine del 2009 erano 908 mila, il 18,7 per cento del totale. Un giovane su sei, in Italia, non fa niente: almeno all’apparenza. Enormi sono le differenze territoriali. Se in Lombardia i giovani «nullafacenti» sono il 15,1%del totale, in Veneto sono il 13,2%e la loro quota scende al di sotto del 10%nella Provincia di Bolzano. Ma in Sicilia toccano il 33%e in Campania raggiungono il 33,5%. Di più. Se al Sud (tranne che in Sardegna, dove si è registrato un aumento di 5,5 punti dell’incidenza di quest’area di non lavoro né studio, il più elevato d’Italia) la situazione era rimasta nel 2009 simile a quella di due anni prima, con addirittura qualche lieve miglioramento in Calabria e Puglia, al Centro Nord le cose sono andate decisamente peggio. La causa? Certamente la crisi che ha colpito le imprese manifatturiere, meno avvertita nelle Regioni meridionali. Fatto sta che la percentuale dei giovani «nullafacenti» è salita dal 12,7%al 16,6%in Piemonte, dall’ 11,5%al 15,1%in Lombardia, dal 10,2%al 13,6%in Emilia-Romagna e dall’ 11,8%al 14,2%in Friuli Venezia Giulia.
Sergio Rizzo