Stefano Citati, il Fatto Quotidiano 4/3/2011, 4 marzo 2011
LE BOMBE MIRANO AL PETROLIO
La prima ondata che avanza da Sirte non è armata ed è composta da egiziani. Due tir carichi di immigrati si fermano in questo avamposto delle zone liberate. Sono oltre 150, prime vittime della guerra, sono partiti da Misurata stipati su due rimorchi e raccontano di quante truppe del raìs abbiano incrociato lungo le centinaia di chilometri della strada costiera dalla città natale e caposaldo delle truppe di Gheddafi.
SONO STATI perquisiti più volte e gli sono state tolte le batterie dei cellulari per impedire le comunicazioni. Presi in consegna dai miliziani di Bengasi verranno portati gratuitamente al confine con l’Egitto, anche se qualcuno sostiene che i camionisti possano essere spie mandate a osservare il dispiegamento nemico. Dall’altra parte della strada, oltre le dune e verso il mare, i resti del campo di concentramento costruito dagli italiani negli anni ’30 dove un altro tipo di migranti, i beduini del deserto, furono rinchiusi e morirono a migliaia. Una moschea scoperchiata con il minareto che si affaccia sulle acque turchine, casette squadrate e un bunker ricoperto dalla sabbia bianca, resti della Seconda guerra mondiale. Resti di recinzioni, del tutto simili a quelle dove il regime libico rinchiude molti degli africani che hanno attraversato il Sahara verso la costa per tentare la traversata del Mediterraneo. La Storia si ripete. Poco più in la di questo borgo passa il mitico confine della Cirenaica, che la leggenda vuole venisse stabilito in una gara di corsa tra i greci di Cirene a ovest e i cartaginesi a est: si incontrarono su queste dune, ma i corridori nordafricani costrinsero i coloni greci a scegliere se morire sepolti vivi qui o arretrare. Scelsero il martirio. Lo stesso al quale si dicono di-sposti ora gli Shabaab, i ragazzi volontari della difesa delle terre liberate, pronti a resistere all’ennesimo blitz delle forze fedeli al regime di Tripoli. La Storia si ripete ancora. A qualche decina di chilometri oltre Al Aghela è stato creato l’ultimo avamposto dei patrioti di Bengasi, pronti a ricevere l’onda d’urto delle colonne di blindati che da giorni si aggirano tra Brega, terminale petrolifero attaccato ancora una volta ieri, e Ras Lanuf, l’altro terminale dei pozzi a sud, ripreso con la forza dagli uomini di Gheddafi, che vogliono assicurarsi il pieno controllo di produzione e trasporto del greggio, sottraendolo alla nuova Repubblica cirenaica.
Suheil ElAtrash, medico dell’ospedale di Brega da dove i feriti (tra cui alcuni bambini di una famiglia di pastori) degli scontri degli ultimi due giorni sono stati evacuati verso Ajdabya, dice di aver ricevuto un sms da un conoscente a Sirte che gli ha spiegato come i fedelissimi armati del raìs stiano costringendo molti uomini a dirigersi, armi in pugno, verso Al Aghela per combattere: “Tengono in ostaggio le nostre famiglie, mandate ambulanze al fronte, sarà una carneficina”. Al check point di Brega, che controlla l’ingresso del compound dei lavoratori del petrolio, una cittadina di 15 mila abitanti, uno stuolo di pallottole giace a terra, testimonianza della battaglia di mercoledì. Poco lontano i crateri dei razzi (almeno 7) lanciati anche ieri mattina ostruiscono una parte della strada, ma nessuno degli ordigni è andato a segno sui giganteschi depositi di gas e greggio, e pare quasi che i piloti dei caccia mandati a bombardare non abbiano di proposito colto nel segno. Per tutto il giorno ieri ci si è preparati allo scontro frontale: informazioni delle staffette lungo la strada che va a sud hanno avvertito della presenza di un nutrito numero di soldati in avvicinamento alla costa, in una manovra a tenaglia per riconquistare al regime i terminali petroliferi; fino al tramonto, l’ora della preghiera, la calma sospesa non si era sciolta nella tensione della battaglia. Tra i miliziani era un susseguirsi di ipotesi, un accavallarsi di cifre, di informazioni diverse tra loro, fino a che uno dei due colonnelli – chiamato dai suoi uomini Yunis, ex ufficiale delle forze speciali passato con i rivoltosi – ordinava il silenzio ai suoi uomini. A ovest il suo parigrado Beshir, comandante del fronte di Al Aghela, preparava le sue truppe: la sera trascorre tra strategie immaginarie, musica dei Pink Floyd e panini al tonno. Nella battaglia prossima ventura da una parte duemila volontari ed ex soldati ora fedeli a Bengasi, dall’altra si dice fino a tremila uomini, tra cui diversi mercenari.
QUATTRO DI LORO sono stati catturati a Brega, e ieri pomeriggio erano pigiati in pick up circondati dai miliziani che li interrogavano, minacciati anche da una bomba a mano il cui occhiello della sicura pendeva dal dito di uno dei guardiani. Sono nigerini, parlano francese e sono storditi e terrorizzati quando vengono caricati su un’altra auto che parte sgommando per portarli via. A Brega alle 15 scatta il coprifuoco per la popolazione. Intanto le mitragliere pesanti raggiungono le postazioni, mentre diversi gruppi di volontari – si dice a centinaia – avrebbero raggiunto addirittura Tripoli, aggirando la zona di Sirte attraverso le piste nel deserto. E oggi potrebbero partecipare alla giornata campale che si prepara nella capitale dopo la preghiera del venerdì, quando una manifestazione di protesta potrebbe essere la scintilla di una battaglia decisiva per tutto il paese. “Gheddafi è accerchiato, abbiamo ormai preso il controllo di quasi tutte le città, se non è oggi o domani, la vittoria sarà comunque presto, Inshallah”, dice un ex soldato in divisa per fermare le domande su informazioni che lui giudica “top secret”. Ad Ajdabya, retrovia del fronte e porta dell’area di Bengasi, obiettivo anche ieri di un raid aereo per colpire il deposito di armi, mancato anche questa volta, un gruppo di uomini tenta di sturare la canna di un obsoleto cannone belga da 120 millimetri, con l’intento di aumentare le difese della cittadina. Oggi tutta Bengasi aspetta che Tripoli si unisca alla sua preghiera e si liberi del dittatore, ma si prepara anche a nuovi giorni di battaglia.