GIANCARLO ZIZOLA , la Repubblica 3/3/2011, 3 marzo 2011
NON UCCISERO GESÙ" NEL SUO NUOVO LIBRO IL PAPA DIFENDE GLI EBREI - ROMA
Nella seconda parte della sua opera teologica su Gesù, in uscita il 10 marzo, Joseph Ratzinger rimette mano alle pagine dei Vangeli sul processo a Gesù, pietra di scandalo nei rapporti tra cristiani ed ebrei. E dalle anticipazioni della Libreria Editrice Vaticana, sembra che la sua revisione critica dei testi sacri abbatta lo stereotipo del popolo ebraico "deicida", colpevole di aver processato e messo a morte in croce l´Innocente ribelle. Secondo l´autore (che riprende qui le tesi del Concilio Vaticano II), gli eventi del processo a Gesù sono narrati in modo più imparziale dal quarto Vangelo di Giovanni che non dai tre Sinottici scritti da Luca, Marco e Matteo. La novità è che nella de-costruzione del falso storico del deicidio Ratzinger chiama in causa proprio i testi sacri, finora intoccabili, senza temere di sottoporli all´analisi critica moderna. Nei secoli cristiani questa accusa è stata catapultata vendicativamente sul popolo ebraico, come capro espiatorio della stessa violenza cristiana. Le deportazioni in massa nei campi, i ghetti, l´antisemitismo: ecco alcune delle code storiche di un paradigma che non cessa di riprodurre le sue ombre letali ai nostri giorni.
Benedetto XVI sostiene che quando Giovanni indica gli Israeliti come gli accusatori di Gesù, designa unicamente "l´aristocrazia del Tempio", non l´intero popolo. In Marco invece, il cerchio degli accusatori che risposero alla domanda di Pilato se liberare Barabba o Gesù "appare allargato", assume anzi un sapore negativo, nel senso di "plebaglia". In ogni caso, ragiona Ratzinger, "con ciò non è indicato il Popolo degli Ebrei come tale". Di più, Ratzinger allarga il suo revisionismo anche al versetto in cui Matteo (forse il più antisemita fra i Sinottici, benché ebreo egli stesso) riferisce il grido di tutto il popolo" a favore della condanna di Gesù: "Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli". Secondo l´Autore, erano unicamente i sostenitori di Barabba a sentirsi mobilitati per un provvedimento di amnistia nei suoi riguardi. Gli ebrei che militavano per Gesù si erano nascosti per la paura di ritorsioni, perciò "la voce del popolo su cui il diritto romano contava era presentata in modo unilaterale". E in ogni modo, letta nella prospettiva della fede cristiana, la parola di Matteo sul sangue " non è maledizione ma redenzione, non chiede vendetta e punizione ma riconciliazione".
Convinto che l´antigiudaismo teologico fosse la forma più letale dell´antisemitismo, Jules Isaac era stato il primo a esplorare negli anni Quaranta le radici dell´ "insegnamento del disprezzo" negli stessi Vangeli, soprattutto in quello di Matteo, Ebreo francese, che aveva perso la moglie e la figlia in un lager nazista, questo pioniere del dialogo ebraico-cristiano aveva chiesto a Giovanni XXIII una revisione dell´insegnamento, della predicazione e della catechesi cristiana con l´obiettivo di eliminare le radici dell´antisemitismo. Il primo risultato lo ottenne con la decisione di Roncalli di abolire la preghiera del Venerdì Santo per la conversione dei "perfidi giudei", poi di inserire la questione ebraica nell´agenda del Vaticano II. La critica dei testi evangelici da parte di Ratzinger risponde a questa stessa necessità, e favorisce il passaggio del dialogo ebraico-cristiano a misure concrete. Una delle fasi più critiche della lotta nel Vaticano II riguardò precisamente il "deicidio". Il Concilio riuscì infine, non senza trepidazioni, a varare la dichiarazione "Nostra Aetate" nella quale si afferma: "Quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo, sebbene autorità ebraiche con i propri seguaci si siano adoperate per la morte di Cristo". Pertanto, "gli ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura".
Il testo di Ratzinger riecheggia anche l´apporto di un punto di vista ebraico come quello proposto da Chaim Cohn, giurista della Corte Suprema dello Stato di Israele, secondo il quale Gesù fu condannato a morte dal governatore romano della Palestina, negli anni 26-30, conformemente al diritto romano e in base alla propria ammissione di colpevolezza. Si trattava di un processo romano con una condanna penale romana, eseguita da carnefici romani. È ingiusto quindi colpevolizzare gli ebrei dei tempi successivi, ma anche tutti gli ebrei del tempo di Gesù. E sul piano della ricerca storica si constata un vasto consenso sul fatto che Gesù subì e accettò responsabilmente un vero processo e non fece orchestrare per nulla dai suoi discepoli l´alibi difensivo di essere vittima di un linciaggio selvaggio né di un colpo poliziesco di questo o quel potere.