GIAMPAOLO CADALANU , la Repubblica 3/3/2011, 3 marzo 2011
IL DRAMMA DEI NERI ALLA FRONTIERA "NOI, SCAMBIATI PER MERCENARI" - RAS AJDIR
(confine fra Tunisia
e Libia) - La voce al telefono da Tripoli è disturbata, ma l´emozione di Mohamed Ismail è evidente: «Non usciamo di casa da una settimana», racconta il somalo, «abbiamo quasi finito le scorte, non abbiamo nemmeno più il gas per cucinare. Ma qui fuori, nel quartiere Abu Salim, è pieno di uomini armati. Se esco mi scambieranno per un soldato africano di Gheddafi, mi uccideranno. Al Jazeera continua a parlare di questi mercenari, ma io non ne ho mai visto. Credo che siano in realtà libici di colore, ce ne sono tanti. Ma ora non posso uscire. Aiutatemi».
Nel dramma della Libia, accanto ai profughi salvati fra mille difficoltà, rischia di esserci una tragica percentuale di sommersi: sono gli almeno ottomila rifugiati politici accolti dalla Libia, in passato seguiti dall´Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e oggi barricati in casa senza vie d´uscita. Sono eritrei, somali, sudanesi, palestinesi: cittadini di nazioni non riconosciute, oppure gente perseguitata nel proprio Paese, che non ha modo né voglia di rientrare. E in una condizione simile sono i centomila lavoratori africani che stanno cercando di lasciare la Libia dirigendosi verso il Niger: l´allarme lanciato dall´Ocha, l´agenzia umanitaria dell´Onu, parla di almeno due neri linciati dalla folla a Bengasi e segnala persone asserragliate nella abitazioni a Mursuk, Sabah, Misurata, oltre che Tripoli e Bengasi.
Al valico di frontiera di Dirkou, fra Niger e Libia, sono già oltre mille gli africani arrivati, ma è solo l´avanguardia. Si parla di centomila profughi in arrivo: per la poverissima nazione subsahariana rischia di essere il tracollo economico. A complicare ancora le cose, la denuncia del Consiglio libico nazionale, il fronte degli insorti di Bengasi, secondo cui Niger, Mali e Kenya stanno mandando rinforzi a Gheddafi: una notizia apparentemente senza fondamento, ma capace di suscitare rappresaglie violentissime.
Più fortunata è la comunità del Bangladesh, entrata ieri al valico di Ras Ajdir, che ha portato il conteggio complessivo dei fuggiaschi a 85 mila sul lato tunisino. Non è chiaro quale sia la situazione dal lato libico: si parla di 40 mila persone in attesa, ma non c´è nessuna conferma di organismi internazionali. Ora davanti al cancello azzurro che separa la terra di nessuno dal territorio libico la scena è cambiata: c´è solo un tappeto di bottiglie di plastica schiacciate, stracci impolverati, resti di scatolette e qualche rotella di valigia. Proprio qui ieri mattina un manipolo di fedelissimi del regime libico ha improvvisato una distribuzione di aiuti, poco più che simbolica, visto che era rimasto solo il gruppo dei 1200 bengalesi, ansiosi e impazienti di varcare la frontiera. A tranquillizzarli, allargando le braccia senza nemmeno bisogno di gridare nel megafono, c´era Mohamed Aslam: «No, non sono un leader, sono solo un operaio. Ma conosco l´inglese, così mi hanno delegato a trattare con le autorità di confine». Aslam era in arrivato in Libia 15 anni fa, dalla città di Jasur, per guadagnare 800 dinari, circa 400 euro. «Lavoravo per la Bcez, una ditta cinese di costruzioni. Qualche giorno fa il principale ci ha contattato, ha detto che partiva, lasciava la Libia. E arrivederci». I bengalesi hanno raccolto le loro cose, sono saliti su un pullman e si sono avviati verso la Tunisia. Lui non nutre rancori: «In Libia sono stato trattato con rispetto». Ma adesso, per Aslam e per gli altri, il problema è tornare a casa.
Anche i portavoce della Croce rossa internazionale, davanti al valico, ripetono lo stesso mantra: «Non servono soccorsi d´emergenza: né tende, né cucine da campo, nemmeno aiuti alimentari. Servono aerei, navi, per rimpatriare la gente». Ieri due navi stracariche di profughi egiziani sono partite in direzione del Cairo, ma ce ne restano migliaia negli asili, nelle scuole, negli edifici pubblici e soprattutto nella gigantesca tendopoli allestita dall´Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, già in grado di accogliere 10 mila persone e in via di raddoppio della capacità. Gli egiziani stessi sollecitavano aiuto in una manifestazione davanti al valico: cartelli di protesta, slogan contro il governo del Cairo. E un canto: «Grazie, grazie, Tunisia».