Silvio Piersanti, il venerdì di Repubblica 4/3/2011, 4 marzo 2011
L’INNO NAZIONALE DIVIDE IL GIAPPONE
«È noioso, guerresco e anche del tutto incomprensibile» sintetizza Junichi Imawano, 37 anni, parrucchiere a Tokyo, «ha un solo pregio: dura poco». «Lo hanno cantato i nostri soldati, morendo per il nostro Paese. È sacro e gli si deve rispetto» controbatte K Dub Shine, 34, rapper giapponese la cui musica è stata definita «la colonna sonora del nuovo militarismo nazionale».
Un Paese così straordinariamente omogeneo come il Giappone si divide in fazioni contrapposte davanti all’inno nazionale, visto, a sinistra, come simbolo di un nazionalismo becero e, a destra, come emblema dell’onore nipponico.
Musica e parole agli occidentali sembrano più adatte a far cadere in letargo che a risvegliare furori marziali. La musica lenta e ieratica (undici battute in tutto) ben s’intona con il testo alquanto ermetico del IX secolo a.C., che dice: «Possa (o imperatore) il tuo regno continuare per mille, ottomila generazioni, finché i sassi crescano come rocce ricoperte di lussureggiante muschio». È così breve che viene sempre ripetuto due volte di seguito.
Le polemiche sull’inno (Kigimayo), da sempre legato alla cerimonia dell’alzabandiera (Hinomaru), si sono riaccese dopo la sentenza del 28 gennaio dalla corte suprema di Tokyo che ha ribadito l’obbligo per alunni, insegnanti e personale delle scuole di seguire l’alzabandiera sull’attenti e di cantare l’inno in tutte le cerimonie ufficiali celebrate negli istituti scolastici. Pena severe sanzioni pecuniarie ed effetti negativi sulla carriera, sino al licenziamento.
La vicenda inizia nel 2006, quando 395 professori e non docenti di alcune scuole di Tokyo, impegnate con bambini con handicap, ricevettero multe di circa 1.800 euro e note di demerito per essersi rifiutati di mettersi sull’attenti e di cantare
l’inno durante l’alzabandiera.
In una class action ante litteram, si rivolsero al tribunale distrettuale di Tokyo accusando i presidi di comportamento
anti-costituzionale perché l’obbligo di cantare l’inno violava il
diritto di libertà di pensiero e coscienza sancito dalla Costituzione. I giudici concordarono e annullarono le sanzioni. Ora il tribunale superiore riconsegna ai presidi le facoltà di rendere obbligatorio il canto dell’inno e impartire punizioni ai trasgressori. Cantato dalle truppe nipponiche lanciate alla conquista di un vasto impero asiatico, l’inno era rimasto in
uso ufficiosamente anche dopo il conflitto mondiale. Solo nel
1999 la bandiera con il sol nascente e l’inno furono riconfermati con un’apposita legge. Ma per Cina, Corea, Filippine e le
altre nazioni conquistate dal Giappone quella bandiera e quell’inno restano i simboli di una potenza che li invase, oppresse, colonizzò, commettendo crimini non ancora raccontati nei testi di storia patria, e che onora assieme agli eroi anche alti ufficiali condannati come criminali di guerra.