Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 03/03/2011, 3 marzo 2011
SOTTO IL FUOCO DEI CACCIA DEL REGIME. BATTAGLIA NELLA CITTA’ DELL’ORO NERO —
La sensazione più spiacevole quando stai in mezzo a una battaglia è che non capisci nulla. Non è chiaro dove stiano gli uomini che ti sparano contro, da che parte corra il confine, chi stia vincendo e chi perdendo, dove sia meglio cercare rifugio. Dominano i rombi delle esplosioni, le grida, le sirene delle ambulanze. Raccontano infinite versioni diverse e non sai a chi credere. Vedi i morti, poveri fagotti di vestiti sporchi diventati cose appena spento il fiato vitale, i feriti che si lamentano, il sangue a terra. Quanti? Ho visto almeno cinque morti e una ventina di feriti, alcuni sfigurati dalle schegge. Ma dicono siano di più. Quanti? Non si sa. Tutto corre veloce, ritmato dai boati minacciosi. Questa era ieri la situazione nella cittadina di Brega, oltre 200 chilometri a ovest di Bengasi. Prevaleva la confusione della battaglia. Neppure i medici del piccolo ospedale Hillal, nel centro, erano certi che le strade attorno sarebbero state sicure con la sera, sebbene sostenessero con baldanza che i «miliziani di Gheddafi sono sconfitti e in rotta verso Tripoli» . La versione più comune è che Brega sia stata attaccata verso le sette di ieri mattina da una colonna di miliziani pro-Gheddafi, sembra accompagnati da un folto numero di mercenari africani. Il loro numero varia tra 400 e 1.100. Secondo il medico chirurgo Mohammad Alì al Jabia, avrebbero viaggiato su «oltre 70 tra camionette e jeep, seguite da due camion per la logistica e una cinquantina di mezzi corazzati su gomme, alcuni dotati di cannoni e mitragliatrici pesanti» . La loro forza d’urto spazza via i pochi ragazzini armati di Kalashnikov che sorvegliano l’accesso da ovest, proprio di fronte all’entrata della grande raffineria della «Sirte» . Gli ingegneri e le guardie della compagnia raccontano di gravi brutalità: «Ci sono decine di morti e feriti dal primo scontro. Ma gli uomini di Gheddafi li hanno portati via subito» . In poco tempo la milizia entra nella raffineria, da qui occupa il porto industriale, l’aeroporto e si attesta nell’università. Sembra a quel punto che Brega debba cadere da un momento all’altro. Sarebbe il successo più importante per Gheddafi dallo scoppio delle rivolte nelle regioni orientali il 15 febbraio. Ma alle undici della mattina si organizza la controffensiva da parte delle milizie rivoluzionarie. Partono colonne di rinforzi da Bengasi. Qui i comitati del governo provvisorio chiedono a Onu, Nato e Stati Uniti di imporre al più presto le no-fly zone, sul modello di quelle contro Saddam Hussein in Iraq dopo la guerra del 1991. Alcuni vorrebbero raid aerei internazionali ben mirati contro le milizie del dittatore e soprattutto il blocco degli aeroporti (specie quello di Sabha in pieno deserto) da cui Gheddafi fa confluire i suoi famigerati mercenari africani. Ci uniamo a questa sorta di armata Brancaleone, che tra slogan, urrà con scimitarre, mitra in mano e il fumo acre di vecchi motori diesel confluisce verso Brega. È subito chiaro che non esiste una vera catena di comando. Chi vuole partire e ha un’arma cerca un passaggio e va. Sembra una grande festa. Ma la situazione cambia radicalmente a Brega. Qui il fumo si alza dalla zona del campus universitario. È circondato da alti muri di cemento. Lo scontro più duro pare sia stato proprio tra le dune di sabbia fine e i cespugli bassi tutto attorno. Tra mezzogiorno e l’una la battaglia infuria nella raffineria. Non vengono colpiti i depositi semi vuoti di carburante. Le milizie rivoluzionarie sostengono di averla ripresa nel primo pomeriggio. Così pure i quartieri della città vecchia e metà aeroporto. «La pista ora non potrà servire a Gheddafi per spedire via aerea i suoi assassini neri» , esclama rabbioso Mohammad Adel Hadi, ventenne volontario arrivato all’ospedale accompagnando un ferito. All’interno del pronto soccorso è il caos. Le vittime giungono a ondate. Verso le quindici un pick up scarica tre morti e un moribondo. Un Mirage di Gheddafi spara alcuni razzi a cinque o sei chilometri di distanza. Alle diciassette la battaglia sembra però quietarsi. I rivoltosi sostengono di avere «liberato gran parte della città» e che gli uomini di Gheddafi starebbero tornando verso Sirte. Ma la zona dell’università è ancora in mano loro. Così sembra anche di buona parte dell’aeroporto e della via di accesso alla raffineria. Brega resta contesa.
Lorenzo Cremonesi