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 2011  marzo 03 Giovedì calendario

GHEDDAFI: «HO COSTRETTO L’ITALIA A SCUSARSI» —

Lontano il tempo dei cavalli berberi al galoppo e delle Frecce tricolori su Tripoli. Oggi è tornato il freddo con l’Italia e Silvio Berlusconi non è più l’amico di prima. Muammar Gheddafi, davanti ai media internazionali convocati sotto un tendone gigantesco, sfavillante di drappi rossi e lampadari, in tre ore di monologo cita diverse volte il premier italiano. Ma non più in modo amichevole: «Anche in Italia di recente ci sono state manifestazioni contro il governo. Addirittura cortei in 30 città diverse che chiedevano le dimissioni di Berlusconi. Eppure nessuna delle sedi diplomatiche ha ritirato il proprio personale, nessuna società petrolifera se n’è andata dal Paese. E allora perché l’Italia ha lasciato le nostre installazioni petrolifere in Libia? Per paura del governo, dei servizi segreti oppure dei terroristi?» . Berlusconi, l’ex alleato, ora è diventato un bersaglio: «Lui ha detto che la famiglia Gheddafi non controlla più la Libia, vero? Beh, si ricordi che la famiglia Gheddafi è la Libia, io sono la Libia» , grida il Raìs con in testa il suo caratteristico «amama» dal colore delle foglie d’autunno. E torna pure a galla l’antico veleno del colonialismo: «Sono orgoglioso di aver costretto l’Italia a inginocchiarsi e a chiedere scusa per il suo passato coloniale. L’Occidente si è sentito insultato perché l’Italia mi ha baciato la mano» , aggiunge sprezzante in arabo Gheddafi, ricordando il baciamano del Cavaliere nei suoi confronti un anno fa a Sirte. «È stato uno storico successo— continua — visto che gl’italiani ci pagheranno per 20 anni 4 miliardi l’anno di risarcimenti» . E cita Omar el Mukhtar, l’eroe della resistenza antitaliana: nel giorno dell’anniversario della Jamahiriya (2 marzo 1977) il Colonnello si sente la sua reincarnazione. Ma questo non è uno show, anche se va in onda in diretta tv davanti alla stampa internazionale. Somiglia di più al colpo di coda di un leader in affanno. Il Raìs sfoglia un quaderno giallo gonfio di appunti e ne ha per tutti: da Berlusconi a Obama. Per l’Italia ancora un’ultima staffilata: «Gli italiani non ci aiutarono affatto a difendere il loro consolato di Bengasi negli scontri del 17 febbraio 2006» (dopo la maglietta anti-Maometto indossata da Calderoli, ndr). 17 febbraio, strana coincidenza: la stessa data d’inizio dell’inferno in corso. «Ci sono già stati mille morti fin adesso, anch’io sono rimasto sorpreso e ho chiesto di aprire un’inchiesta — dice Gheddafi— Ma ci sono dei terroristi dietro a questa rivolta, cellule dormienti di al Qaeda passate all’azione e alcuni reduci dell’Afghanistan, c’è un ex detenuto di Guantanamo che adesso sgozza i civili nella città di Derna come faceva al Zarqawi in Iraq. Però non capisco: se nei vostri Paesi vi attaccano le postazioni militari, voi non reagite? Ma i media stranieri purtroppo falsificano la realtà, ogni corrispondente in Libia oggi è sospetto. Perciò vengano i commissari dell’Onu, li sfido a dimostrare che abbiamo ucciso manifestanti pacifici» . E sfida anche l’America, l’Europa e la Nato: «La verità è che vogliono occuparci per prendere il nostro petrolio. Ma in caso d’intervento militare di Washington e altre potenze vi avverto che ci saranno migliaia e migliaia di morti, perché noi lotteremo fino all’ultimo uomo e all’ultima donna. Ricordatevi però che il Mediterraneo senza di noi si riempirà di pirati. E se gli americani non faranno presto ritorno alle loro aziende petrolifere in Libia, perché la produzione di petrolio ormai è giunta ai minimi, giuro che le consegnerò ai russi e ai cinesi. Anche l’India e il Brasile sono ormai pronti ad investire qui» . Poi definisce «un furto» il congelamento dei beni libici all’estero: «Io non ho ricchezze personali fuori dalla mia terra, la mia ricchezza è il popolo libico, il mio stipendio è di soli 465 dinari al mese (273 euro, ndr)» . Le uniche parole al miele le ha per Barack Obama: «Io penso che la sua politica sia sensata, lui non è come George Bush, non è un colonialista e non farà della Libia un altro Iraq. Ma se gli americani verranno qui, troveranno un altro Afghanistan…» .
Fabrizio Caccia