Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 3/3/2011, 3 marzo 2011
SPENDI
& SPANDI ITALIA, PATRIA DEGLI SPERPERI - SORPRESA: GLI SPRECHI CI SONO DAVVERO. Ed eliminarli non è poi così difficile, basta volerlo. É notizia di ieri che dopo qualche mese di controlli rafforzati l’Inps ha revocato undici pensioni di invalidità ogni 100 esaminate. E, promettono dal governo, è soltanto l’inizio visto che quella voce di spesa (le pensioni di assistenza) pesano per un intero punto di Pil, 16 miliardi all’anno. A Lecce, nel 2005 (ultimo dato disponibile) c’era il record: 178 pensioni di invalidità ogni mille abitanti, a Milano soltanto 52 ogni mille. C’è chiaramente qualcosa che non va. Piccolo problema: preoccuparsi dei mille rivoli in cui spariscono miliardi di euro di denaro pubblico significa addentrarsi nelle pagine dei bilanci, spulciare voce per voce per capire cosa salvare e cosa tagliare. Cioè il contrario della logica applicata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti che, finora, ha sempre scelto i tagli lineari, riduzioni percentuali. A prescindere da quello a cui servivano i soldi tagliati.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano auspica “misure generali” per favorire la crescita. E, come ha spiegato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, non c’è niente che faccia meglio alla crescita di un maggior controllo su come i soldi vengono spesi, oltre che sulla quantità. Anche i politici (alcuni) ne sono consapevoli e, sia pure con le dovute perifrasi, ogni tanto ne parlano. A sinistra la chiamano “spending review”, a destra “riqualificazione della spesa pubblica”. E, come raccontano le storie di queste due pagine, di spesa inutile (o di un uso dissennato di soldi altrui) ce n’è ancora tanta da tagliare.
Gli esempi concreti aiutano a capire meglio le denunce della procura generale della Corte dei Conti di qualche giorno fa. Il procuratore Mario Ristuccia ricorda nella sua relazione che “gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti di propria competenza, non possono fissare garanzie inferiori a quelle poste con le disposizioni statali, ma se del caso dettare disposizioni migliorative”. Lo Stato è inefficiente e a livello locale invece che porre rimedio si fa ancora peggio. Sia quando si tratta di spendere che di assumere personale, come hanno dimostrato gli scandali della parentopoli romana, dall’Atac all’Ama.
Quando lo spreco ha rilevanza penale, si muove la Corte dei conti che però, per definizione, può intervenire solo a cose fatte: nel 2010 ha recuperato, con le sentenze di primo grado, 221 milioni di euro. Ma sono briciole, perché bisognerebbe intervenire a monte, là dove la spesa si forma. Anche perché altrimenti si finisce per spendere a volontà ma senza risultati. Per dirla con le parole della Corte, “La pur rilevante immissione di risorse pubbliche nel tessuto economico nazionale a fronte dell’attività contrattuale pubblica per oltre 200 miliardi di euro non appare essere stata in grado di contribuire in modo significativo alla produzione di effetti positivi sul ciclo economico”.
In Italia, insomma, sembra non valgano i fondamenti della teoria economica: puoi spendere quanto vuoi e non cambia quasi nulla. Se non per pochi, pochissimi. Agli altri resta soltanto una cosa: il debito pubblico da pagare. Che nel 2010 è arrivato al 119 per cento del Pil.