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 2011  marzo 03 Giovedì calendario

Steno, Indro e il cameriere del duce - Si dice che il successo ha molti padri, ma nel caso di Quinto Navarra i molti pa­dri spettano a un in­successo

Steno, Indro e il cameriere del duce - Si dice che il successo ha molti padri, ma nel caso di Quinto Navarra i molti pa­dri spettano a un in­successo. Le memorie del ca­meriere di Mussolini , pubbli­cate nel 1946, risultavano es­sere, per la firma in coperti­na, opera del Navarra stesso. Fu presto chiaro che penne più agili e scaltre di quella del piccolo funzionario da cui dipendeva l’anticamera di Palazzo Venezia - ossia il flusso dei visitatori e soprat­tutto delle visitatrici - aveva­no maneggiato quel materia­le traendone squarci memo­rabili di storia imperiale, di routine burocratica, di crona­ca galante. Ai ghost writers fu dato un nome, Leo Longanesi edito­re e Indro Montanelli, arran­giatore geniale del testo. Adesso Enrico Vanzina affac­cia, con una cortese lettera, l’ipotesi che suo padre-Stefa­no Vanzina, nome d’arteSte­no - della «memorie» sia sta­to il vero autore. Con tutto il rispetto per Steno, che aveva talento da vendere, ho la con­vinzione che l’attribuzione dai più ritenuta vera lo sia sta­ta davvero. È capitato più d’una volta che Montanelli, nelle nostre chiacchierate, accennasse a quel colpaccio editoriale so­stanzialmente fallito. Sem­pre me ne ha parlato come d’una invenzione di Longa­nesi - straordinario nel co­gliere le potenzialità giornali­stiche e letterarie di figure mi­nori­e d’una sua faticatitani­ca. Per vincere le ritrosie di chi era vissuto accanto al po­tere, e per trasformare in rac­conto interessante i risvolti d’una esistenza sfiorata dai riflettori, ma ostinatamente tenuta in penombra. Montanelli non diceva pa­pale papale, ma io lo sospet­tavo maliziosamente, che quanto Navarra andava nar­rando fosse stato arricchito da lampi non suoi ma di In­dro. Bravo come nessun al­tro - lo attestano i suoi ritratti - nell’intrecciare squarci di verità a qualche annotazio­ne più vera della verità stes­sa. Non so in quale misura sia autentico - è possibilissi­mo che lo sia - il modo in cui Navarra racconta il 25 luglio 1943, Mussolini al suo tavolo nella sala del Mappamondo dal cui balcone aveva arrin­gato le folle oceaniche, ma in attesa, fuori dalla porta, dove di solito c’era calca, nessu­no. Poi Navarra sente suona­re il campanello. «“Mi avete chiamato Duce?”. “Non mi sembra”. Uscii. Ero certo tut­tavia che egli mi aveva chia­mato ». Non si sarebbe potu­to fissare meglio il crollo del regime. Navarra o Montanel­li o Longanesi, o magari Ste­no? Chiunque abbia azzecca­to quella fulminante istanta­nea è stato tacitianamente ca­pace di sintetizzare la storia. Il libro non ebbe successo per motivi che Montanelli non si stancava di allineare. Era stato prematuro, «dove­va precedere i tempi non i de­cenni » la sua sentenza, che Roberto Chiarini, nel suo arti­colo di presentazione del­l’opera, ha molto opportuna­mente citato. L’Indro di que­gli anni era uno specialista di queste intuizioni incompre­se. In Qui non riposano ave­va affiancato le vicende di tre personaggi-uno palesemen­te autobiografico - spiegan­d­o come fascismo e antifasci­smo, convinzioni ideali e op­portunità materiali, eroism­no e viltà, si alternassero nel­le situazioni, e come non vi fossero che eccezionalmen­te, da una parte e dall’altra, purezze immacolate. Le Memorie del cameriere di Mussolini (il commesso trasformato in cameriere, for­se perché secondo un detto popolare i grandi non hanno segreti per il loro cameriere, l’idea suppongo sia stata di Longanesi) erano fatte per non piacere a nessuno di co­loro che occupavano la ribal­ta. Non piacevano agli antifa­scisti, figurarsi. Il loro chiodo fisso era quello di rappresen­tare il Duce come un despota implacabile e crudele, dal quale per vent’anni era stato oppresso l’italico popolo an­sioso di sottrarsi al giogo. In­vece si trovavano di fronte sì a un tiranno, o a un istrione che si atteggiava a tiranno, ma che aveva abitudini da travet subalpino e gesti d’umanità di stampo roma­no- romagnolo. Ai nostalgici del fascismo il Duce del Na­varra riusciva intollerabile, perché le rivelazioni sulla «fa­vorita » e sulle avventurette quotidiane dell’Insonne ne avvilivano la dimensione ce­sarea. Così ridimensionato, ma anche per certi aspetti ria­bilitato, l’Uomo che aveva ri­portato l’Impero sui colli fata­li di Roma diventava autenti­co, e per questo incompatibi­le con le opposte retoriche. La gente comune e di buon senso avrebbe dovuto amare quel libro, ma era troppo im­pegnata, ancora, a risolvere i guai derivanti dalle distruzio­ni, dalla sconfitta, dall’umi­liazione d’Italia per apprez­zare lo scavo storico e insie­me il pettegolezzo diverten­te di Quinto Navarra. O di Montanelli e Longanesi. O di Steno.