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 2011  marzo 03 Giovedì calendario

Ma è lo snobismo della sinistra a far delle donne il sesso debole Ancora si discute su quale e quando sia stata l’origine della giornata della donna, tanto che al­cuni hanno parlato di un vero e proprio giallo; altri di un falso stori­co

Ma è lo snobismo della sinistra a far delle donne il sesso debole Ancora si discute su quale e quando sia stata l’origine della giornata della donna, tanto che al­cuni hanno parlato di un vero e proprio giallo; altri di un falso stori­co. C’è chi farisalirela storica cele­brazione al 1908, dopo un incen­dio in una fabbrica di camicie a New York, nel quale arsero vive centinaia di operaie, che l’aveva­no occupata per protestare contro lo sfruttamento dei datori di lavo­ro a loro danno. Altri raccontano della nascita del Women’s day che, dal febbraio 1908, il partito so­cialista di Chicago organizzava in un teatro, affinché si potesse discu­tere del diritto di voto femminile e della strumentalizzazione del la­voro delle donne. In Europa cominciò ad affermar­si «il giorno della donna» dopo il 1911; e così in Russia, sempre a cu­ra delle organizzazioni politiche socialiste. Nel 1921, la seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, decretò la data dell’8 marzo«giornata internazio­nale dell’operaia». In Italia nel 1922 fu per la prima volta celebra­to il giorno della donna per iniziati­va del partito comunista e nel ri­cordo della parte significativa che avevano avuto proprio le donne nel rovesciare lo zarismo. Dal 1946, per un’intuizione di Teresa Noce e Rita Montagnana la mimo­sa divenne il simbolo italiano di questa giornata. Che, fra alterne vi­cende politiche di segno opposto e,dunque,sempre in bilico tral’ac­cettazione incondizionata e il rifiu­to più o meno motivato, sopravvi­ve ai nostri giorni. Tuttavia, ormai e purtroppo, connotata da contor­ni e contenuto di bieco stampo commerciale. Col paradosso per cui le donne,che cent’anni fa com­battevano contro lo sfruttamento, ora si fanno apertamente sfruttare da aziende alimentari, ristoranti, discoteche, negozi in genere e fio­rai che, nel loro nome, vivono una giornata di bengodi. Per non parla­re del gesto volgare di gratificare la femminilità con spettacoli di spo­gliarellisti, partecipazioni speciali di tronisti, crociere sponsorizzate con corsi gratuiti di burlesque. Dalla lotta per ildiritto al voto al­l’apologia del letto disfatto, come se niente fosse. Danzando sulle spoglie delle operaie, di Rosa Lu­xemburg e delle femministe. Dal 1975, che è stato dalle Nazioni Uni­te celebrato come l’anno interna­zionale della donna, l’8 marzo do­vrebbe in tutto il mondo ricordare e onorare la crescita sociale e giuri­dica femminile, prestando tutti at­tenzione all’effettiva affermazio­ne di uguaglianza e di parità fra i sessi. Invece tra lazzi, frizzi e ca­chinni, oggi l’8 marzo si «fa la fe­sta » alle donne; le si adorna di un fiore metafora di per sé dell’effime­ro; si dà loro una pacca «amorevo­le », poco più giù della schiena, e la coscienza civile si sente pulita. Ma, quel che è più squallido, mol­te donne ne sono appagate. Non solo: nell’ambito del gene­re femminile, addirittura si crea­no schieramenti opposti, sì che ciascuno possa rivendicare per sé un giorno da festeggiare. L’8 mar­zo, quelle che si dichiarano non in vendita, non merce di scambio per i festini, al fine di distinguersi dalle altre, marceranno in piazza accolte da lenzuola bianche alle fi­nestre, per riprendersi la città e la vita pubblica. Altre, invece, il 5 marzo organizzeranno la prima conferenza nazionale sul lavoro e l’occupazione femminile, auspi­cando di aprirsi a un confronto con tutte le forze politiche. Altre ancora si preparano per il 4 mar­zo, quando ci sarà una maratona in discoteca e la premiazione delle agenzie pubblicitarie che hanno tutelato l’immagine femminile contro i vieti stereotipi. Poi ci sa­ranno quelle che festeggiano con leggerezza, quelle che si faranno bovinamente festeggiare, e quelle che se ne infischiano ora e poi. Ognuna di queste posizioni ha il suo gradiente di positività e il suo lato negativo; ma, nell’insieme, che proposta di sé sanno dare le donne che si dimostrano incapaci di unirsi persino nel loro nome? Che senso ha dividersi a comparti­menti stagni, quando insieme co­stituirebbero un coro entusiasta, possente e indimenticabile?È evi­den­te che da una parte c’è uno sno­bismo insopportabile che, malgra­do le idee politiche, solo ventilate, di fratellanza e uguaglianza, impo­ne loro di distinguersi da quella massa giudicata grassa e goderec­cia. Dall’altra,invece,c’è un’indis­simulabile convinzione di suddi­tanza culturale e storica alle sorel­lastre di sinistra, tanto da sentire l’obbligo di inventarsi soluzioni differenti, pur concrete, destinate a evaporare passata la «festa». In mancanza di un direttore d’orchestra e di uno spartito comu­ne, gli strumenti, che suonano cia­scuno la propria musica, creano rumori inestricabili e indigesti fa­stidi. Sono convinta, come Gan­dhi del resto, che la donna non sia il sesso debole. Anzi. Un insieme di donne lo diventa, tuttavia, quando è incapace di alle­arsi (pur nella libertà di dissentire dalle scelte altrui); non esercita la solidarietà; non apprezza la diffe­renza preziosa e irrinunciabile che ciascuna sa e può manifesta­re. Tutte, invece, devono poter es­sere certe di contare sull’acco­glienza generosa di ogni altra don­na, sola e con le altre. Devono po­ter sperare nel disinteresse politi­co e nell’altruismo operativo. Solo onorando, davvero, la sorellanza si può rimanere fiere di essere don­n­a e accettare che continui a esser­ci un giorno a noi dedicato. Senza alcun imbarazzo, solo se con-divi­so seriamente con tutte le altre.