DOMENICO QUIRICO, La Stampa 3/3/2011, 3 marzo 2011
Mille euro per un sogno - Gli egiziani? Quelli di Ras Jedir in fuga dalla Libia? Una ventina hanno già pagato per passare»
Mille euro per un sogno - Gli egiziani? Quelli di Ras Jedir in fuga dalla Libia? Una ventina hanno già pagato per passare». E ancora: «Ci sono anche cinque cinesi. Altri verranno, state certi». Lasciate passare solo qualche giorno e gli darete il benvenuto a Lampedusa». Il “ress”, il capitano, carezza con lo sguardo il mare; a noi sembra così limpido e azzurro che pare cielo colato, ma lui scuote la testa. Sente il maltempo nell’aria come il cane fiuta la selvaggina. Stamattina son partite tre barche da qui, da Zarzis, per la Sicilia, piccole: venti, trenta clandestini non più per ciascuna. Ma non ce ne saranno altre oggi, assicura. Con un gesto distratto indica il mare lontano: «Qui il vento non c’è ma al largo non è buono per la traversata, bisognerà aspettare domani». Vivacissimo ometto con due occhi splendenti, il traghettatore di uomini ha la faccia di chi è stato maltrattato dalla vita, ma si è preso abbondantemente le sue rivincite. E’ ricco, adesso che ha cambiato mestiere e non corre più dietro le sardine. Guadagna ad ogni passaggio per Lampedusa in media diecimila euro. La sorpresa, almeno per noi che consideriamo la tratta dei clandestini una attività che ha solidi legami con il codice penale, è che non ci vogliono molte cautele per accostarlo. Anzi è difficile evitarlo, lui e gli altri capitani della tratta. A Zarzis è popolare come una star del calcio. Quando passa per le vie del centro, attorno al porto, sembra la processione del santissimo: saluti, gente che si alza ad omaggiare, che gli offre il caffè: «E’ il migliore, non ha mai sbagliato una traversata, ha la baraka lui, la fortuna. Conosce ogni onda del mare da qui a Lampedusa, fiuta il vento. Se lo scegli per andare in Italia spendi bene i tuoi soldi. Con le sue barche arrivi a Lampedusa meglio che se viaggiassi in aereo». In gioiosa salmodia ne tessono le lodi al caffè con vista sul porto avventori che s’intiepidiscono al sole senza aver l’aria di essere tipi in faccende. Il “ress” prende i complimenti con degnazione, perfino una punta di pudore. «Con lui non mi sarebbe successo, sarei già in Italia» concorda e rimpiange un ragazzo: un mese fa la barca che lo portava dalla spiaggia al peschereccio per la traversata, si è capovolta, due dei suoi compagni sono morti, lui si è salvato perché è un buon nuotatore. I soldi i “passeur” glieli hanno restituiti, qui vige un’etichetta che non ammette sgarri. Ma lui ne ha avuto abbastanza: «Dio è pietoso una volta sola e io ho finito il mio credito. Qui crepo senza alcuna possibilità di trovare un lavoro, ma basta traversate». A meno di un’ora di auto da questa spiaggia una moltitudine di egiziani africani, asiatici, rimasti come lui senza lavoro, risale la frontiera dalla Libia alla Tunisia con un brulichio di formicaio irritato. Se il frenetico tentativo di riportarli a casa subito non riuscirà, anticipando le tentazioni, si abbandoneranno a fantasiose possibilità di sostituire la Libia con l’Europa. E tenteranno la via che comincia sulle spiagge di Zarzis. I primi partiranno forse oggi se il tempo sarà buono. Da Oglà, per esempio, appena dietro i villaggi vacanze e gli alberghi, la striscia di terra che chiamano “l’aeroporto”: perché di qui partono più uomini ogni giorno che dallo scalo aereo di Djerba. Le certezze negli accordi bilaterali, negli impegni del governo tunisino, peraltro uscito da una rivoluzione e in perenne tempesta, a drenare le partenze, su questi bagnasciuga beccheggiano paurosamente: la traversata, i prezzi, i nomi delle “lambare”, i pescherecci che possono stipare fino a mille passeggeri, le avventure tutte a lieto fine («in questi anni un solo naufragio, ma solo perché la barca è stata speronata da una vedetta tunisina...») le raccontano senza nascondersi, con la soddisfazione del lavoro ben fatto, del business di successo. Il viaggio a Lampedusa è la specialità locale. La sera, quando le piccole imbarcazioni si staccano per portare i passeggeri sulla nave maggiore che resta al largo, in spiaggia si fa rumorosamente festa: come nei paesi del Sud quando i nostri emigranti partivano per l’America per un destino migliore. Un altro capitano racconta la procedura sul tono di un nonno che racconti la favola al nipotino. Unica condizione, la più difficile, disporre di mille euro, il prezzo del biglietto. Poi si entra in un caffè, o addirittura in strada si fa passare la notizia che si vuole andare a Lampedusa. I passeur ti contattano loro, incassano il denaro e ti chiedono il numero del telefonino. Poi resti a casa o dagli amici, tranquillamente, in attesa. Squilla il telefono e ti danno appuntamento al luogo di raccolta, per imbarcare. Dieci ore, dodici ore dopo eccoti a Lampedusa. Una barca come quella che ieri è arrivata sull’isola, 400 persone, un carico medio, equivale a un incasso di quattrocentomila euro. Ci spostiamo al porto. L’ingresso è presidiato da annoiati militari; al molo beccheggia una vedetta dall’aria stagionata. Sovrastata da due enormi pescherecci, quelli nuovi di zecca. Marinai scaricano senza fretta casse di sardine appena pescate. Prima o poi anche queste due unità saranno vendute ai trasportatori per un viaggio senza ritorno a Lampedusa: «I militari non ci danno noie - spiegano paciosi -. Sanno, ma fanno finta di non vedere, non hanno l’ordine di fermare le navi grandi cariche di gente, ogni tanto semmai quelle piccole». La pesca rende ma la tentazione è forte. I proprietari dei grandi pescherecci - due, tre società in tutto -, i veri padroni del traffico ma che non vi partecipano, le vendono agli organizzatori dei passaggi: 150 mila euro per un battello di 25 metri. I passeur lo perderanno, certo, sequestrato dalla polizia italiana. Ma con 400 mila euro di incasso se ne compra un altro per ricominciare, e resta un buon guadagno. Ci sono a Zarzis 24 pescherecci di grandi dimensioni e una ventina di piccoli. Ma nel cantiere dietro il porto nuove sagome sono già in abbozzo. A Ras Jedir i potenziali “clienti” entrano al ritmo di mille l’ora.