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 2011  marzo 03 Giovedì calendario

AUMENTO PREZZO DEL COTONE, PER VOCE ARANCIO


Questa primavera per comprare in negozio una camicia che nel 2010 costava 100 euro ne serviranno circa 120.

Il prezzo del cotone nei mercati internazionali è salito del 40% in tre mesi. Cause principali: la carenza di materia prima, la forte domanda da parte delle aziende, la speculazione.

Gigi Proietti ha una passione per le camicie bianche: «Sul palco, insieme con il pantalone nero, è la mia divisa dai tempi di A me gli occhi, please. A casa, però, ho anche qualche camicia celeste».

John Malkovich, secondo Jeremy Irons: «L’attore con le camicie più bianche d’Inghilterra».

La scorsa settimana il cotone ha sfondato il muro dei due dollari per libbra alla Borsa di New York. È il record non solo da quando esiste un future del cotone, ma da quando storici ed economisti annotano i prezzi delle materie prime.

Il prezzo più caro fino a questo momento era stato toccato ai tempi della Guerra di secessione americana, 150 anni fa. All’epoca la produzione nel Sud degli Stati Uniti si era quasi azzerata, per la necessità di convertire i terreni a colture alimentari e per l’abolizione della schiavitù negli Stati del Nord, che aveva provocato una fuga dalle piantagioni.

Dal 15 al 17 febbraio si è svolto Milano Unica, il salone italiano del tessile. Dall’appuntamento milanese è emerso che, nel 2010, il settore ha registrato una ripresa: fatturato in crescita dell’11%, produzione del 13,9%, esportazioni dell’11,6%, con un saldo commerciale positivo di oltre 2,4 miliardi. Il presidente di Milano Unica, Pier Luigi Loro Piana, non nasconde però che i veri problemi arrivano dall’aumento dei prezzi della materia prima: «Le aziende italiane hanno fatto enormi sforzi commerciali per mantenere le quote di mercato, a volte sacrificando i margini, ma garantendo continuità e presenza sul mercato e difendendo professionalità e qualità. Certo l’abnorme incremento delle quotazioni può mettere in difficoltà soprattutto le piccole e medie imprese del settore».

Il primo paese verso cui l’Italia esporta tessuti in cotone e lana è la Germania (l’11,8% del totale), seguito da Cina, Spagna e Portogallo.

I produttori italiani si lamentano soprattutto di subire il peso maggiore degli aumenti. Alessandra Ormezzano, dell’omonimo lanificio biellese: «I nostri fornitori non vendono più a prezzi stagionali e si riservano di applicare ritocchi nell’arco dei sei mesi, cosa che noi a nostra volta non possiamo fare. Nell’ultimo periodo il lino è cresciuto dell’8%, il cotone del 15%: oggi abbiamo ipotizzato un +10% al metro, ma da aprile in avanti non siamo certi di aver fatto i conti giusti».

Ma, in concreto, il consumatore che va al negozio quanto paga questi rincari? Risponde Gian Luca Bena, manager di Testa, la più grande azienda italiana specializzata in tessuti per camiceria: «Le scelte che può fare un confezionista sono due: la prima è aumentare il costo di una camicia in conseguenza al caro-tessuto. In questo caso credo che il rincaro sarà del 15-20%. Oppure può decidere di non farlo, ma di abbassare la qualità della stoffa. E in entrambi i casi viene penalizzato chi acquista».

La conferma di questa situazione viene dal Gruppo Albini, che dal 1876 utilizza il cotone come principale materia prima. «Siamo alla quinta generazione e una situazione così critica non si era mai vista – precisa Silvio Albini, amministratore delegato del gruppo bergamasco tra i più grandi produttori europei di camicie –. Da una parte le inondazioni in Texas, Cina e India hanno provocato una scarsa offerta di materia prima, dall’altra assistiamo a una crescita della domanda da parte di alcuni paesi emergenti che sta facendo sballare tutto».

Vincenzo Monteleone, ottantacinque anni, proprietario della Monteleone Group di Valle Mosso. La sua azienda revisiona, smonta e rivende macchinari tessili. E qualche volta li rottama, sempre più spesso. «C’è chi non vuole cederli alla concorrenza, per non rafforzarla. Bisogna accettarlo: il tessile italiano scomparirà. Io l’ho capito in trattoria, dove non trovo più una sola tovaglia di cotone, ormai è tutta carta, il “tessuto non tessuto”. Ci salva un po’ la qualità, con gli abiti, ma sempre meno».

Una lettera al Corriere della Sera dell’8 febbraio: «Ho comprato una camicia di cotone fabbricata all’estero e l’ho pagata 8 euro e 90 centesimi. Poco dopo ho portato un’altra camicia in lavanderia per lavarla e stirarla. Ho speso 3 euro e 70 centesimi. Grazie alle camicie ho finalmente capito cosa si intende per globalizzazione…
Andrea Ferrari, Casalpusterlengo (Lo)».

Anche chi vorrà comprare jeans nei prossimi mesi pagherà di più: «Sugli aumenti dei prezzi della primavera 2011 – dicono alla Levi Strauss – ha pesato il prezzo del cotone, che è una componente. E comunque gli aumenti rispecchiano i rincari della materia prima di 6-12 mesi fa. Continueremo a monitorare l’andamento dei prezzi e ad adottare le misure necessarie».

Benetton ha lanciato la sua campagna per un business ecosostenibile: appendiabiti in legno liquido, shopper in carta eco-friendly, capi in cotone biologico.

Nelle collezioni bambino Benetton il cotone biologico rappresenta già oltre il 30% del totale dei capi in cotone, e con la collezione primavera-estate 2011 si arriva a un totale di 13 milioni di capi in cotone organico distribuiti tra i diversi marchi del Gruppo. Ogni indumento avrà la certificazione etico-ambientale dei “Prodotti Tessili Biologici” in accordo con lo Standard Gots (Global, Organic, Textile, Standard), marchio adottato a livello internazionale, sinonimo di garanzia della coltivazione. Benetton effettua un ciclo costante di controlli per garantire che all’interno della fibra non siano presenti cotoni Ogm.

I cinque marchi internazionali che utilizzano la maggiore quantità di cotone da agricoltura biologica: Wal-Mart, C&A, Nike, H&M, Zara.

Sul piano internazionale, quello che spaventa di più è l’aggravarsi della siccità in Cina, paese produttore di circa il 9% di tutto il cotone mondiale, con 25 milioni di coltivatori. Le importazioni cinesi già a dicembre erano salite del 113% e, secondo gli analisti, Pechino avrebbe quasi esaurito le scorte governative. Gli Usa intanto hanno già venduto circa il 95% del raccolto di cotone, mentre l’India ha imposto un limite alle sue esportazioni (5,5 milioni di balle da 170 kg) e il prossimo raccolto si prospetta deludente.

Quella del cotone è la maggiore coltivazione agricola non alimentare e copre il 50% del fabbisogno di fibre tessili nel mondo. Più di 24 milioni di tonnellate di fibra lavorate ogni anno, una quantità che potrebbe ricoprire la superficie dell’intera Italia, isole comprese e che determina un fatturato annuo che si aggira intorno ai 30 miliardi di dollari.

Il termine cotone viene dall’arabo al qutn, ovvero “terra di conquista”.

Gli arabi lo diffusero prima in Spagna, dove sorse la prima vera industria di lavorazione del cotone. Già nell’anno 1000 era ampiamente diffuso in tutta Europa.

Il cotone è una fibra vegetale, ottenuta dalle capsule mature della pianta che porta lo stesso nome. La raccolta, a mano o per mezzo di macchine simili a mietitrebbie, avviene solitamente alla fine della stagione calda. Si separano i fiocchi dalle capsule mature, operazione che le macchine eseguono con bracci meccanici dotati di puntali di gomma che passano a pettine fra le piante: in questo modo, il raccolto è formato da terriccio, gambi e foglie oltre alle capsule più o meno mature. La raccolta manuale, invece, è più costosa ma garantisce i migliori risultati di pulizia poiché si selezionano unicamente i fiocchi migliori. Il raccolto viene successivamente trasportato in appositi magazzini dove essicca naturalmente. Le fibre più lunghe vengono trasformate in filato mentre quelle più corte sono utilizzate per la produzione di cellulosa pura.

La camiceria Siniscalchi, a Milano, fa invecchiare dieci anni i fili con cui tesse camicie, pigiami ecc.

Il cotone si distingue in tre varietà principali, in base all’area geografica di produzione:
• varietà americane: di colore bianco a fibra lunga e molto fine
• varietà makò egiziane: di colore giallastro a fibra media e fine
• varietà orientali (indiane e cinesi): di colore bruno/rossastro e a fibra corta.

«Ho scoperto che il profumo del cotone mi dà una sensazione fortissima. Più dell’emozione della diretta tv» (Massimo Giletti, la cui famiglia possiede dal 1881 un’azienda tessile).