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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

VENTO DI RIVOLTA ANCHE A PECHINO ARRESTATI I DISSIDENTI, CENSURA SUL WEB - PECHINO

Wang Fujing, prima strada dei negozi occidentali a Pechino, non è mai stata così pulita. Scorre a due passi da Tienanmen e nel 1989 fu usata per ammassare i carri armati del regime comunista prima della strage degli studenti. Anche piazza Renmin, cuore di Shanghai, viene sommersa dall´acqua più volte al giorno. La Cina è afflitta dalla peggiore siccità degli ultimi cent´anni, ma le autorità non risparmiano autobotti. Fingere una maniacale pulizia dei luoghi pubblici, o aprire cantieri improvvisi attorno a siti sospetti, è il sistema che le autorità della seconda potenza mondiale adottano da due settimane per scacciare, con i pedoni, lo spettro di una rivoluzione. Nessuno, in Cina e all´estero, annusa oggi un´aria da ribellione nel Paese simbolo della crescita, in cui tutti disperatamente confidano. La potenza di Internet rovescia però le dittature dell´Africa mediterranea, il domino democratico si estende nel Medio Oriente e i leader della nazione più popolosa del pianeta, esempio unico di autoritarismo di mercato, temono che il virus della libertà contagi anche le terre estreme dell´Est.
E´ la prima volta che una rivoluzione esordisce senza rivoluzionari, promossa solo dal loro fantasma elettronico. Ma per la leadership di Pechino, prossima alla pensione, la differenza non è sostanziale. E´ l´ultima generazione di capi rieducati da Mao Zedong, che insegnava come sia una scintilla a bruciare la prateria. Si svuotano dunque i laghi della capitale, per annegare preventivamente l´evocata "rivoluzione dei gelsomini", come è stata definita per tirare un filo che colleghi la Cina alle prime insurrezioni del 2011, in Egitto e Tunisia. Il popolo del web e le forze dell´ordine assicurano che l´onda della protesta si è alzata domenica 20 febbraio. I cinesi estranei al partito e all´esercito per ora non se ne sono accorti, ma nei palazzi del potere il misterioso allarme scatena una sorprendente isteria. Il primo appello sulla Rete a «manifestare pacificamente per chiedere democrazia, libertà e giustizia» dava appuntamento ogni domenica alle 14 nel centro di una ventina di città-chiave. E´ stato raccolto da poche centinaia di persone. Per il dissenso in esilio la ragione è semplice: la censura calata su Internet e sulla stampa governativa impedisce alla gente di sapere che anche in Cina, 62 anni dopo quella comunista partita dalle campagne, sta per scoppiare nell´etere una rivoluzione per cacciare i nipoti della Lunga Marcia. Anche per il potere il motivo per cui la ribellione cinese finora è essenzialmente mediatica, è elementare: nessuno o quasi vuole farla. La realtà è più complessa e spiega perché, in assenza di scontri, da un paio di settimane la Cina vive come se qualcuno stesse per infrangere la sua preziosa stabilità. Nella prima "domenica dei gelsomini" è stato difficile distinguere la folla impegnata nello shopping da quella scesa in strada per testimoniare un silenzioso dissenso.
Nessuno slogan, non uno striscione, nemmeno un insorto riconoscibile. A Pechino, fuori dal McDonald´s su Wang Fujing, alcuni ragazzi hanno lanciato in aria tre mazzi di crisantemi bianchi. In questa stagione in Oriente i gelsomini non sono fioriti, ma è bastata l´esibizione generica di fiori per essere picchiati e arrestati dagli agenti. Tra gli spettatori c´era "per caso" anche l´ambasciatore americano in Cina, Jon Huntsman, prossimo candidato repubblicano alle presidenziali. Passava di lì per mano con la figlia e ai funzionari del partito è andato il sangue alla testa. In poche ore la nazione, tutta concentrata a battere ogni primato di arricchimento, è riprecipitata nelle atmosfere sinistre dell´89, o delle più recenti repressioni contro il Falun Gong, in Tibet e nello Xinjiang, o contro chi solo stima Liu Xiaobo, ultimo premio Nobel per la pace. La "Grande Muraglia di Fuoco" è ricalata sulla Rete, censurando decine di parole, tra cui "Huntsman", o "gelsomino". Il governo ha scatenato la propaganda contro «le forze straniere ostili» e per chiarire a ognuno un concetto: la Cina non è il Nord Africa e la sola idea di una rivoluzione è ridicola. Nessuno ha osato sostenere il contrario ma il fuoco, stranamente, non si è spento. Nuovi appelli anonimi alla rivolta domenicale, dalla settimana scorsa a ieri, si moltiplicano sul web. Venerdì una decina di avvocati e un centinaio di dissidenti storici, sono stati arrestati senza motivo. Domenica scorsa Pechino, Shanghai e le più importanti città cinesi sono state blindate e allagate dall´esercito. Poiché i dimostranti latitavano, pattuglie e milizie se la sono presa con i giornalisti stranieri, accorsi in massa, e con allibiti passanti. La tensione, pur in assenza di fatti, continua a salire: domenica prossima migliaia di cinesi sono invitati a occupare silenziosamente il centro di oltre cento città e la rivoluzione che non c´è per il governo è come se ci fosse.
Nessuno può razionalmente spiegare cosa in Cina stia accadendo, ma descrivere questo anomalo dissenso elettronico, soffocato con l´antica violenza, non significa testimoniare che qualcosa di importante non si stia verificando. Il Paese cresce, ma inizia a sentire il fiato delle contraddizioni capitaliste. Il regime è saldo, ma nel pieno di una conflittuale e lunga fase di passaggio personale del potere. L´incubo Corea del Nord, dove l´effetto-Libia può realmente far implodere la dittatura famigliare dei Kim, da mesi toglie il sonno a Pechino. Tra poche ore si aprirà la sessione annuale del parlamento, pronta a varare la più profonda riforma nazionale dall´epoca di Deng Xiaoping. Nuovi interessi, esclusi e forze armate bussano alla porta vecchia del partito, ultimamente incline alle promesse. Sono centinaia di milioni di individui, armati di rivendicazioni opposte. Distanza e distinzioni da Tripoli, dopo che l´e-vaso del diritto alla dignità si è rotto, possono non rivelarsi più determinanti. Mostrare al mondo come si spegne una scintilla anche se non c´è, a un secolo dalla prima rivoluzione repubblicana, è l´estrema via alla stabilità con caratteristiche cinesi.